Nonostante un dato sui payrolls più che buono, 200.000 unità, superiore ai 183.000 del consensus, il dollaro non è riuscito a sfondare le resistenze, segno che quando c’è un trend forte, questo non ne vuole sapere di girarsi, tanto meno avere delle correzioni importanti. La netta sensazione, osservando le price actions, è che di strada da percorrere ce ne sia ancora, e la benzina che alimenta le vendite di divisa americana, non sia per nulla esaurita.
L’Euro resta abbondantemente sopra la soglia di 1.2400 e non riesce neppure a rompere i primi supporti, tanto che la divisa ad alto tasso sembra proprio la moneta unica, mentre il dollaro appare come valuta rifugio in un momento storico di appetito al rischio, quando invece sappiamo bene che non è così, e anzi la forbice tassi, a tendere, potrebbe anche ulteriormente allargarsi, dato che nella prossima riunione della Fed del mese di Marzo, precisamente il 21, Jerome Powell, nuovo governatore, esordirà probabilmente con un rialzo del costo del denaro, che dovrebbe portare i Fed Funds nella forbice 1.50-1.75 per cento.
L’Euro però non fa una piega e anzi sembrerebbe impostato a salire almeno fino a 1.2620 50 area, che poi rappresenta il livello cruciale di medio e lungo termine individuato dalla famosa trendline decrescente che passa per i massimi del 2008 a 1.6000 e del 2014 a 1.4000, prima della grande discesa legata al Qe imposto dalla Bce.
Ebbene, possiamo dire che per la moneta unica quindi, lo spazio di salita non si è esaurito anche se potremmo intravedere, prossimamente, un piccolo rallentamento, soprattutto se Draghi, che parlerà oggi al Parlamento Europa di Strasburgo, dovesse mostrarsi, relativamente alla forward guidance, cioè all’insieme delle indicazioni che una banca centrale predispone relativamente alle prossime mosse di politica monetaria, dovish, ovvero dovesse in qualche modo allontanare il tapering, che poi è probabilmente la molla sulla quale si è creato questo ribasso del biglietto verde.
Draghi quindi, ancora una volta, diventa l’ago della bilancia per aiutare una Europa che cresce, soprattutto nella Germania, ma che appare ancora poco unita sulla maggior parte dei temi, economico in testa, perché lascia indietro i paesi periferici. Lo abbiamo sempre sostenuto, e lo ribadiamo anche oggi, periodo nel quale pure i periferici subiscono una influenza indiretta positiva rispetto alla crescita tedesca, ma si deve ricordare che è insufficiente, soprattutto per quanto riguarda il nostro paese, dove i salari sono compressi e dove la fragile ripresa rischia di essere compromessa da un tasso di cambio per noi anacronistico. Quello attuale, infatti, rischia di compromettere la ripresa nel medio termine, dato che la salita della moneta unica, alimenta la deflazione che unitamente alla compressione strutturale dei salari, riduce consumi e risparmi, quindi anche gli investimenti, vero motore della crescita di un paese. E c’è di più, inutile girarci intorno, ma il mondo ormai combatte la guerra commerciale attraverso i tassi di cambio, rivalutazioni e deprezzamenti strutturali per aggiustare le bilance dei pagamenti e i differenziali di inflazione (e per fortuna che è così), e solo l’Europa, ma solo al suo interno, è rimasta ingabbiata in questo tasso di cambio fisso, che penalizza i paesi periferici. C’è di più. La variazione del Pil reale, dal 2014 al 2017, in una classifica stilata dall’Ocse, ci dice che Italia e Grecia sono i fanalini di coda, ma anche Francia, Belgio e Portogallo, insieme pure all’Austria, sono nella parte più bassa della classifica a dimostrazione che, ad eccezion fatta della Germania, l’Europa non si può considerare ancora un’area unita da comunità di intenti strutturale e ancora, gli egoismi nazionali prevalgono sulla solidarietà che doveva essere il mantra a cui si erano ispirati i padri fondatori.
Tornando quindi a Draghi, oggi il main focus sarà sull’appuntamento delle 16 a Strasburgo, mentre per quel che concerne le altre coppie di valute, segnaliamo il fatto che lo Jpy non riesce ad indebolirsi più di tanto e il biglietto verde, dopo una fiammata di venerdì , è tornato in area 110.00. Anche il dollaro australiano è sceso e nel medio periodo sembra impostato al ribasso, almeno fino a 0.7700, un 2.5% dai livelli attuali, mentre Nzd ancora non ha iniziato la sua fase di pullback. Il Cable si è leggermente indebolito, in attesa di nuove notizie relative alla Brexit , che però sembrano far pendere la bilancia a favore di un accordo di libero scambio di tipo norvegese e quindi positivo. Sulla sterlina restiamo bullish di medio termine , al netto di correzioni che sono sempre possibili, soprattutto in questa delicata fase di negoziazione, ma il trend sembra avviato anche nel lungo termine e 1.5000 non è una chimera. Attenzione anche al UsdCad che è in bilico tra supporti e livelli chiave di resistenza, in attesa di dati macro e soprattutto delle decisioni relative al Nafta, che Trump aveva minacciato di voler stravolgere e invece per ora non ha toccato di una virgola.
Saverio Berlinzani per ActivTrades.
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