
La guerra valutaria in atto tende ad allargarsi, e si manifesta con l’intenzione di ciascun paese di indebolire la propria valuta, per acquisire maggiori quote di mercati internazionali e giocarsi la partita del mercantilismo facendo dumping valutario, che dal punto di vista degli obiettivi finali, è simile all’applicazione dei dazi doganali, che hanno lo scopo di aumentare i costi dei prodotti esteri per incentivare l’effetto sostituzione e le produzioni locali e nazionali.
Il deprezzamento della valuta però raggiunge il suo scopo in modo del tutto diverso, in ragione del fatto che, a fronte del deprezzamento della propria valuta, si assiste all’apprezzamento di quell’altra, il che di fatto porta, ai fini di un aumento delle vendite all’estero, quasi esclusivamente vantaggi per il paese che deprezza. I dazi invece, sotto questo punto di vista, producono l’effetto della retaliation, ovvero delle ritorsioni da parte di chi i dazi li subisce, con l’applicazione reciproca da parte dell’altro paese che, si suol dire, ricambia il “favore”. In questo modo, si hanno solo svantaggi, in quanto, l’applicazione reciproca dei dazi fa aumentare i prezzi in modo generalizzato senza che nessuno alla fine, ne tragga un vero e reale beneficio. È un sostanziale pareggio che si traduce, sul fronte dati, ad un semplice quando diretto aumento dei prezzi, e quindi a possibili ricadute sull’inflazione, che in linea teorica, dovrebbe tendere ad una ripresa.
Nel caso di specie, ovvero nella guerra valutaria tra Usa e Cina, però, a rimetterci sembrerebbero soprattutto i cinesi, dato lo squilibrio di partenza delle bilance commerciali, che mette gli Usa in posizione di favore se non altro per la quantità dei beni a cui poter applicare le tariffe. Ma mai sottovalutare i cinesi, in quanto detengono un’arma significativa, ovvero hanno più di 1.000 miliardi di debito Usa, circa il 5.5% del totale e possono indirizzare gli acquisti di quei paesi politicamente alleati, per un altro 5%, così almeno si legge in giro. E questa pare essere un’arma di dissuasione assai rilevante, nonostante i 21 mila miliardi di debito Usa, siano per il 70% in mano a enti e istituzioni americane, tra cui il Governo. Questo pare essere, in buona sostanza, il quadro attuale, con Trump che nelle ultime ore, forse per timore di un calo dei mercati azionari, o per la possibilità di fuga dai treasuries, ha cambiato un po’ il modus operandi rispetto a qualche giorno orsono, ovvero si è limitato a dichiarare che si aspetta un accordo con il paese asiatico con il quale i colloqui proseguono.
Nella notte, intanto, sono usciti dati australiani sulla fiducia dei consumatori, uscita a +0.9%, mentre l’indice dei prezzi dei salari è uscito in linea con le attese a +2.3% su base annua. Più tardi sono usciti i dati cinesi sulla produzione industriale del mese di aprile, saliti del 6.2% su base annua rispetto ad un consensus di +6.5%, mentre le vendite al dettaglio, sempre su base annua, sono uscite a +8% rispetto a +8.4% del consensus, leggermente inferiori quindi. Non sono brutti dati, ma sono bastati a spingere ancora al ribasso AudUsd che ha toccato un minimo a 0.6920 mentre NzdUsd è sceso in area 0.6560. UsdCnh è salito fino a 6.9140, e anche se la tensione, tutto sommato si evidenzia soprattutto sui cambi, e non sulle borse, questo fatto crea comunque un aumento del risk off generalizzato. Sullo Jpy invece, non abbiamo visto alcun ulteriore rialzo, per la verità, con il UsdJpy rimasto sostanzialmente stabile tra 109.40 e 109.75.
Cosa aspettarci per le prossime ore? In assenza di notizie rilevanti, il mercato dovrebbe continuare ad alimentare la tensione attuale con una tendenza chiara ribassista sulle oceaniche, anche se molto tirata e con possibilità di vedere delle correzioni. Sulla sterlina e sulla moneta unica, non intravediamo cambiamenti, in quanto le due valute ancora subiscono la pressione di un dollaro che non accenna minimamente a correggere, forse anche perché i vari rappresentanti della Fed che si stanno alternando nei consueti commenti, continuano a rappresentare l’economia Usa come robusta ed in crescita, senza minimamente accennare ad un eventuale rallentamento macro. E del resto, i dati continuano a mostrarci un paese che cresce e che non sembra risentire del rallentamento globale in atto, almeno per ora. Stabilità sugli altri rapporti di cambio, e soprattutto poca volatilità.

Saverio Berlinzani per ActivTrades.
Profilo dell'analista

Saverio Berlinzani
Nel 1989 inizia il suo percorso lavorativo nel mercato valutario come spot trader per il Banco Lariano. Dal ’91 per la Banque San Paolo di Parigi come trader su lira e franco francese. Dal ‘92 presso il Banco Lariano di Milano spot trader su tutte le valute SME. Dal ’95 per Swiss Bank Corporation capo cambista – Lugano, Ginevra, Londra.
In questi anni, oltre alla specializzazione sul mercato dello spot come market maker, ha sviluppato conoscenze del mercato dei derivati come trader di posizionamento per l’Istituto (Opzioni vanilla ed esotiche), nonché conoscenza diretta delle valute legate ai paesi emergenti (carry trades).
Dal ’98 è rientrato in Italia come Libero professionista in qualità di Consulente Finanziario e Patrimoniale – Presidente e socio fondatore di una società broker in forex. Dal 2009 ad oggi, trader indipendente nel mercato valutario fondatore del sito www.saveforex.it, community di traders con cui condivide quotidianamente in tempo reale la sua operatività forex attraverso una chat e un webinar live.
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