La Fed taglia il costo del denaro portandolo nella forbice 1.75%- 2% come da previsioni. Non vi è stata però unanimità nella decisione in quanto Rosengren e George, hanno votato per lasciare i tassi invariati mentre Bullard, per un taglio di 50 basis points.
Nella conferenza stampa Powell non è sembrato decisionista sulla forward guidance, ma si è limitato a dire che essa dipenderà dai dati futuri. Il Presidente ha affermato che l’economia continua a performare positivamente, con quasi tutti gli indicatori che ancora non evidenziano segnali di rallentamento, soprattutto nel mercato del lavoro, mai così robusto. I consumi crescono a ritmo sostenuto mentre l’inflazione rimane leggermente al di sotto dei target prefissati, ma non lontano da essi. Si è assistito per contro, nelle ultime settimane, ad un rallentamento del settore manifatturiero che si traduce poi in un calo dell’export e degli investimenti e le ragioni sembrano essere dettate dalla congiuntura globale in deciso rallentamento, soprattutto in Cina e dai dazi.
La Fed, dice Powell, non è in grado di avere un controllo su queste tematiche mentre ricorda che la politica fiscale può far molto di più di quanto non possa la banca centrale con le sue pur importanti decisioni. Infine ha dichiarato di non vedere grandi scostamenti sui tassi nei prossimi anni, ribadendo che anche la crescita rimarrà per il 2020 e 2021 intorno al 2%. Un Powell che ha quindi richiamato l’attenzione su una economia americana ancora pienamente in salute, con delle incognite che dipendono però da fattori esogeni e che non può controllare, con uno di questi che peraltro è stato creato dal suo Presidente. Ma come spesso abbiamo ribadito in queste pagine, la caratteristica che ha distinto Trump e la sua amministrazione, dal resto dei paesi del primo mondo, afflitti da bassa crescita e deflazione, è stata la sua capacità di ridare impulso alla domanda interna. Al di là di quel che si può pensare del personaggio, è l’unico che ha provato e anche con successo, a modificare il paradigma mercantilista globale, traducendolo in una ripresa della produzione e domanda interna americana. E lo ha fatto andando a colpire il mercantilismo in senso classico, quello cinese o tedesco, che deprimono artificialmente la domanda utilizzando il dumping come arma sull’estero.
La politica dei dazi, verso la quale si possono anche nutrire dubbi relativamente alla sua efficacia, e noi da queste pagine lo abbiamo spesso ricordato, rappresenta lo strumento che alimenta questo cambio di paradigma. E ovviamente, il resto del mondo ne soffre le conseguenze. Negli States, così come altrove, si assiste comunque ad un rallentamento dell’export analogo a quel che accade negli altri paesi, ma a differenza di questi ultimi, negli States, vi è una domanda interna che tira. E, lo ha ribadito ancora Powell ieri sera, la vera chiave è rappresentata dalla politica fiscale, (lo aveva ricordato anche Draghi in uno dei suoi interventi), che poi tradotto significa un abbassamento della pressione fiscale che ha permesso alla domanda interna Usa di accelerare. Trump non ha esitato a criticare aspramente la Fed, con i suoi toni sempre coloriti e poco istituzionali, non appena si è sparsa la notizia del taglio di 25 basis points, richiamando la necessità di un abbassamento superiore allo 0.25%.
Sul fronte cambi, abbiamo notato una rinnovata forza di dollaro contro oceaniche, soprattutto Aud, alimentata anche dai dati sul mercato del lavoro australiano, usciti questa notte, leggermente peggiori delle attese con un +5.3% di disoccupazione generale. Bisogna però ricordare che gli occupati sono aumentati ad agosto di 34.700 unità rispetto alle attese di 15.000, sebbene il dato del lavoro a tempo indeterminato abbia fatto registrare un ribasso di 15.500 unità. Nzd è sceso meno nonostante i dati sul Pil abbiano fatto registrare un miglioramento con il Pil del secondo trimestre cresciuto dello 0.5% su base trimestrale e del 2.1% su base annuale, entrambi superiori al consensus di 0.4% e 2%. Euro stabile sul dollaro, così come il cable. La sensazione è che nel prezzo del dollaro vi sia tutto quanto di buono espresso dall’economia a stelle e strisce. Un segnale di inversione, e quindi di convergenza dei tassi, potrebbe venire da un eventuale accordo tra Cina e Usa che allenterebbe di molto la tensione rialzista sul biglietto verde.
Saverio Berlinzani per ActivTrades.
Profilo dell’analista
Saverio Berlinzani
Nel 1989 inizia il suo percorso lavorativo nel mercato valutario come spot trader per il Banco Lariano. Dal ’91 per la Banque San Paolo di Parigi come trader su lira e franco francese. Dal ‘92 presso il Banco Lariano di Milano spot trader su tutte le valute SME. Dal ’95 per Swiss Bank Corporation capo cambista – Lugano, Ginevra, Londra.
In questi anni, oltre alla specializzazione sul mercato dello spot come market maker, ha sviluppato conoscenze del mercato dei derivati come trader di posizionamento per l’Istituto (Opzioni vanilla ed esotiche), nonché conoscenza diretta delle valute legate ai paesi emergenti (carry trades).
Dal ’98 è rientrato in Italia come Libero professionista in qualità di Consulente Finanziario e Patrimoniale – Presidente e socio fondatore di una società broker in forex. Dal 2009 ad oggi, trader indipendente nel mercato valutario fondatore del sito www.saveforex.it, community di traders con cui condivide quotidianamente in tempo reale la sua operatività forex attraverso una chat e un webinar live.
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