3 Dicembre, 2025
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    Analisi dei mercatiSettembre è Davvero il Mese Peggiore per le Borse? Forse No

    Settembre è Davvero il Mese Peggiore per le Borse? Forse No

    Settembre è Davvero il Mese Peggiore per le Borse? Forse No

    Come descritto in precedenti articoli, settembre viene spesso ricordato come il mese più difficile per i listini azionari. Ma quest'anno, tra taglio dei tassi e mercato rialzista, lo scenario è più complesso. Analizziamo nel dettaglio che cosa attenderci questo mese e nei mesi successivi.

    Che cos’è il September Effect e perché conta meno oggi

    Il cosiddetto September Effect descrive una tendenza storica: settembre è il mese che, in media, registra performance peggiori per le Borse. Dal 1950 al 2020, ad esempio, l’S&P 500 ha segnato rendimenti negativi in circa il 60% dei casi, con una media mensile intorno al -0,7%.

    Perché la stagionalità non basta a spiegare i mercati

    La stagionalità non è una legge universale ma un pattern statistico. Nel 2025, i mercati hanno dovuto fronteggiare variabili molto più rilevanti: la politica monetaria della Fed, i dazi commerciali e l’esplosione degli investimenti in intelligenza artificiale. Questi fattori rendono la pura stagionalità meno affidabile come guida operativa. Per chi investe, l’attenzione deve spostarsi sui driver reali, non sui cliché di calendario.

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    Fed, taglio dei tassi e prospettive per il mercato rialzista

    Il nodo centrale resta la Federal Reserve. Dopo mesi di attesa, il mercato sconta con forza un taglio dei tassi, ipotizzato già entro l’autunno.

    Se la Fed abbassa il costo del denaro:

    • il mercato rialzista trova ulteriore supporto,
    • le small cap beneficiano di più grazie alla riduzione del costo di finanziamento,
    • le mega cap mantengono comunque il vantaggio derivante da bilanci solidi e flussi di cassa.

    Un ritardo nei tagli potrebbe generare volatilità, ma gli operatori sono pronti a reagire: la percezione di una Fed “dietro la curva” alimenta spesso rally di breve, spinti dall’idea che il cambio di rotta arrivi comunque.

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    S&P 500: rally delle mega cap e ruolo delle small cap

    Il 2025 ha confermato un trend già evidente negli ultimi anni: la performance dell’S&P 500 è stata trainata in larga parte dalle mega cap tecnologiche. I colossi dell’intelligenza artificiale, del cloud e dei semiconduttori hanno fornito i maggiori contributi al rialzo, sostenendo il mercato rialzista nonostante un contesto macroeconomico complesso.

    Negli ultimi dodici mesi, le prime dieci società per capitalizzazione dell'S&P 500 hanno inciso per oltre il 70% dei guadagni complessivi dell’indice, dimostrando quanto la concentrazione sia diventata un fattore chiave. Questa dinamica solleva interrogativi: da un lato, gli utili record e le liquidità in bilancio delle mega cap giustificano valutazioni elevate; dall’altro, la dipendenza da un numero limitato di titoli aumenta la vulnerabilità dell’indice a eventuali correzioni settoriali.

    Parallelamente, le small cap hanno mostrato un andamento meno brillante. Molte società di minori dimensioni sono più esposte al costo del debito e alle condizioni di credito. Con tassi ancora elevati, la loro crescita è stata frenata. Tuttavia, in prospettiva, un taglio dei tassi da parte della Fed può rappresentare un catalizzatore importante: riduce il costo di finanziamento, stimola nuovi investimenti e favorisce le aziende più agili e innovative.

    In sintesi, il rally dell’S&P 500 si è basato soprattutto sulle mega cap, ma l’eventuale rotazione dei capitali verso le small cap potrebbe ampliare la partecipazione al rialzo, rendendo il mercato più equilibrato e meno concentrato.

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    L’impatto dell’intelligenza artificiale sugli utili e sui capex

    Il tema dominante del 2025 resta l’intelligenza artificiale. Dai data center al software, l’AI è diventata il motore dei capex aziendali e una leva chiave per la crescita futura.

    Intelligenza artificiale: dai data center ai ricavi ricorrenti

    Le trimestrali hanno evidenziato una crescita costante degli investimenti in infrastrutture cloud e AI. Questo si traduce in:

    • nuove linee di ricavi ricorrenti,
    • maggiore pricing power per chi controlla hardware e software,
    • margini in crescita per i leader di settore.

    Gli investitori devono però distinguere tra chi cavalca la narrativa e chi concretamente monetizza l’AI. La selezione diventa essenziale per evitare eccessi simili a quelli della bolla dot-com.

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    Strategie operative: come bilanciare small cap e mega cap

    Strategie operative: come bilanciare small cap e mega cap

    La scelta di investire tra small cap e mega cap non deve essere intesa come un aut-aut, bensì come una questione di peso relativo nel portafoglio.

    Le mega cap offrono solidità: hanno posizioni dominanti, margini elevati, buyback consistenti e una resilienza comprovata nei cicli economici. Per un investitore con un orizzonte medio-lungo, rappresentano un ancoraggio stabile, in grado di generare valore anche nei momenti di volatilità.

    Le small cap, al contrario, offrono maggiore potenziale di crescita, ma sono più sensibili alla politica monetaria. In un contesto di taglio dei tassi, queste società beneficiano di una spinta significativa, dato che il loro indebitamento diventa più gestibile e la propensione degli investitori al rischio cresce.

    Una strategia efficace può essere la costruzione di un portafoglio barbell:

    • Quota principale concentrata sulle mega cap di qualità, in particolare nei settori AI, tecnologia e healthcare.
    • Quota satellite destinata a small cap selezionate con bilanci solidi, cash flow positivi e vantaggi competitivi nei rispettivi mercati.

    Questo approccio consente di sfruttare la stabilità delle grandi aziende, senza rinunciare all’opportunità di rendimento superiore offerta dalle società più piccole in caso di condizioni monetarie favorevoli.

    Per chi vuole gestire il rischio in modo dinamico, è utile anche considerare strumenti come gli ETF small cap (es. SPDR Russell 2000 U.S. Small Cap UCITS) per diversificare ed evitare l’esposizione a singoli titoli più volatili.

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    Disciplina e piano di lungo termine: la vera difesa dell’investitore

    Uno degli errori più comuni tra gli investitori è tentare di anticipare i movimenti del mercato. La realtà è che i rendimenti a lungo termine derivano dalla capacità di restare investiti, non dal cercare di prevedere ogni oscillazione. Studi storici sull’S&P 500 dimostrano che perdere anche solo le 10 migliori giornate di mercato in un decennio riduce drasticamente i guadagni complessivi.

    La vera difesa dell’investitore è costruire un piano coerente con i propri obiettivi, applicando strumenti collaudati come:

    • DCA (Dollar Cost Averaging), che permette di mediare i prezzi d’acquisto e ridurre l’impatto della volatilità.
    • Ribilanciamenti periodici, per mantenere l’asset allocation in linea con il profilo di rischio, alleggerendo le posizioni in eccesso e rafforzando quelle sottopesate.
    • Allocazione diversificata, tra azioni large e small cap, obbligazioni e asset difensivi come oro o liquidità remunerata.

    Avere una disciplina chiara consente di evitare le decisioni emotive dettate dai titoli di giornale o dai movimenti giornalieri. Il mercato rialzista attuale offre opportunità significative, ma la vera differenza la fa la costanza. Chi riesce a mantenere la rotta e a gestire il rischio con metodo costruisce valore nel tempo, indipendentemente dal mese in cui si trova.

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    Amministratore e CEO del portale www.doveinvestire.com, Simone Mordenti è anche analista finanziario, trader con oltre 25 anni di esperienza. Classe 1974, si avvicina al mondo del trading, ed in particolare agli investimenti su indici di borsa e azioni, grazie all’affiancamento di esperti del settore. Una forte passione per le scienze statistiche e l’analisi tecnica sui mercati finanziari, da diversi anni si occupa di giornalismo finanziario in diversi portali del settore, in veste di analista tecnico e trading advisor.
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