3 Dicembre, 2025
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    CriptovalutePerché l’S&P 500 non accoglie ancora Bitcoin

    Perché l’S&P 500 non accoglie ancora Bitcoin

    Perché l’S&P 500 non accoglie ancora Bitcoin

    Molti investitori si chiedono perché l’S&P 500, l’indice più importante al mondo, continui a tenere fuori le società legate a Bitcoin nonostante i requisiti formali di inclusione siano ormai soddisfatti. La risposta non è semplice e riguarda il funzionamento del comitato che decide chi entra e chi resta fuori.

    L’S&P 500: tra trasparenza mancata e decisioni arbitrarie

    L’S&P 500 è nato come un indice a replica passiva del mercato azionario americano. Chi lo compra, tramite ETF o fondi, si aspetta di avere un’esposizione neutrale e trasparente ai 500 titoli più rappresentativi degli Stati Uniti. In realtà, il processo di selezione è gestito da un comitato opaco, i cui membri non sono noti e che non fornisce spiegazioni pubbliche sulle scelte effettuate.

    Questa mancanza di trasparenza contrasta con l’approccio di altri indici più moderni, come il Bloomberg 500, dove l’inclusione avviene in maniera totalmente automatica: se un’azienda soddisfa i criteri oggettivi, entra nell’indice senza possibilità di discrezionalità.

    Un esempio concreto è MicroStrategy, società che detiene enormi quantità di Bitcoin nel proprio bilancio. L’azienda è stata inclusa nel Bloomberg 500 già da un anno, ma resta esclusa dall’S&P 500 nonostante il rispetto delle regole formali.

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    Il caso MicroStrategy e l’ostacolo del Bitcoin

    Il caso MicroStrategy e l’ostacolo del Bitcoin

    MicroStrategy ha superato da tempo i requisiti di capitalizzazione per l’ingresso nell’indice. Già nel 2024 aveva oltrepassato la soglia dei 14 miliardi di dollari richiesta; oggi viaggia su una capitalizzazione di circa 96 miliardi, ben al di sopra dei limiti previsti.

    La ragione della mancata inclusione sembra legata a due fattori:

    • la volatilità del prezzo del Bitcoin, che rende incerta la stabilità dei bilanci della società;
    • i pregiudizi politici e finanziari verso le aziende che adottano Bitcoin come riserva di valore.

    Il paradosso è evidente: se da un lato i dati oggettivi qualificano MicroStrategy, dall’altro il comitato dell’S&P 500 preferisce rimandare l’ingresso, temendo possibili oscillazioni o, semplicemente, per una mancanza di fiducia nel modello di business.

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    Errori passati e lezioni non apprese

    Non sarebbe la prima volta che l’S&P 500 esclude titoli innovativi salvo poi dover correre ai ripari. È successo con Tesla, rimasta fuori dall’indice anche dopo aver raggiunto una capitalizzazione record, e persino con Microsoft nei suoi primi anni di crescita.

    La discrezionalità del comitato ha quindi portato spesso a decisioni considerate controproducenti per gli investitori, che hanno perso parte della performance dei titoli più dinamici del mercato.

    Un approccio puramente basato su regole oggettive eliminerebbe questi rischi, riducendo le distorsioni e le influenze politiche o culturali che oggi frenano l’apertura verso Bitcoin.

    Il peso dell’S&P 500 e le possibili conseguenze

    Non bisogna sottovalutare l’importanza di questa scelta. L’S&P 500 alimenta i tre maggiori ETF al mondo ed è l’indice di riferimento per circa il 70% della gestione passiva globale. L’esclusione di società come MicroStrategy non è quindi un dettaglio tecnico: significa impedire a enormi flussi di capitale di raggiungere il settore delle aziende Bitcoin.

    Questo solleva un dubbio cruciale: il rifiuto dell’S&P 500 è solo un ritardo fisiologico o rappresenta una vera e propria forma di barriera sistemica contro Bitcoin?

    Alcuni osservatori vedono in queste scelte un parallelo con il caso Libor, dove l’eccessiva discrezionalità ha generato scandali e sfiducia. Altri temono che gli indici tradizionali possano adottare misure di “soft power” per frenare la diffusione di Bitcoin nei mercati regolamentati.

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    Uno sguardo al futuro: regole o discrezionalità?

    Il dibattito resta aperto. Da una parte, cresce la pressione per una inclusione inevitabile: con l’espansione di MicroStrategy e di altre società legate al mondo cripto, l’S&P 500 potrebbe trovarsi costretto ad aprire le porte, così come avvenne con Tesla quando raggiunse dimensioni insostenibili da ignorare.

    Dall’altra, Nasdaq e altre borse hanno già introdotto regole aggiuntive sui treasury in Bitcoin, sostenendo la necessità di maggiore governance e approvazione degli azionisti. Alcuni analisti temono che questi vincoli possano trasformarsi in forme di controllo del capitale mascherate da buone pratiche.

    Se la gestione rimane nelle mani di un comitato poco trasparente, la possibilità di bias e di decisioni non allineate agli interessi degli investitori rimane alta.

    Conclusione operativa per gli investitori

    Per chi investe, la questione è chiara: affidarsi ciecamente a un indice non significa avere un’esposizione “neutrale” al mercato. L’S&P 500, pur rappresentando la spina dorsale della finanza globale, è meno passivo di quanto sembri.

    Un investitore consapevole dovrebbe guardare anche a indici rules-based, come quelli di Bloomberg o al Nasdaq 100, più agili e capaci di riflettere i trend emergenti in tecnologia, AI e Bitcoin.

    La domanda non è se le aziende legate a Bitcoin entreranno nell’S&P 500, ma quando. E chi saprà anticipare questa transizione potrà trovarsi in una posizione di vantaggio.

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    Amministratore e CEO del portale www.doveinvestire.com, Simone Mordenti è anche analista finanziario, trader con oltre 25 anni di esperienza. Classe 1974, si avvicina al mondo del trading, ed in particolare agli investimenti su indici di borsa e azioni, grazie all’affiancamento di esperti del settore. Una forte passione per le scienze statistiche e l’analisi tecnica sui mercati finanziari, da diversi anni si occupa di giornalismo finanziario in diversi portali del settore, in veste di analista tecnico e trading advisor.
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