La stampa finanziaria, con essa intendo tutti i media che si occupano di finanza, si cibano di notizie macroeconomiche. Anche molti investitori lo fanno. Personalmente, sono sicuro che alcuni dati, ma solo alcuni, siano importanti per le borse.
In realtà, la lettura di alcuni prezzi è essa stessa indicativa e alle volte illuminante: il prezzo del petrolio, il prezzo dell’oro, il dollaro USA, il rendimento dei Treasury USA, solo per citarne alcuni.
Quanto valore ha l’analisi macroeconomica per fare trading o investire? E’ un gioco di scacchi dove effettivamente si può pensare che la genialità vince?
Il vero problema è uno: spesso vediamo economisti illustri sbagliare clamorosamente le previsioni. Questo significa una cosa: la macroeconomia ha una tale serie di complicati fattori concomitanti, che fare confusione assegnando priorità sbagliate all’uno o all’altro fattore è molto facile.
Un esempio molto banale è dato dalle previsioni sul prezzo dell’oro nel 2023. La logica vuole che il prezzo dell’oro sia destinato a salire.
C’è la guerra, l’inflazione che galoppa. Il dollaro è dato sui massimi, deve pur tornare indietro e calmarsi, e in prospettiva perderà, qualcuno dice ha già perso, il suo ruolo di moneta dominante del mondo. Così l’oro, si dice, andrà alle stelle.
C’è però l’analisi ciclica (quella basata anche sugli algoritmi: e sai quanto io sia fazioso per tale analisi). E l’analisi ciclica e algoritmica dice il contrario, vedremo l’oro a 1400 nel 2023.
Il secondo dato è contro-logica. Il primo sembra seguire una logica stringente ed inevitabile. Nondimeno, io non riesco ad assegnare un valore meno che equivalente alle due tesi. Il 50% di probabilità ciascuna, anche se sono un fazioso sostenitore della seconda tesi.
Quanto sarà il prezzo dell’oro nel 2023 lo sapremo solo nel 2023. Ci sono voci autorevoli sia per la prima ipotesi che per la seconda.
Warren Buffett dice che la microeconomia è quello che fai e la macroeconomia è ciò che sopporti. I mercati finanziari globali sono in subbuglio, questo è evidente. E l’opinione prevalente è che siano in peggioramento. Proviamo ad enumerarne le cause.
Per prima l’inflazione, generata evidentemente dalle politiche monetarie degli ultimi anni. Mettiamo al secondo posto i tassi di interesse reali, che hanno distorto l’allocazione del capitale, favorendo ad oltranza le borse e anche aree di investimento totalmente improduttive (come le criptovalute). Terzo: i titoli tecnologici, i growth, che hanno effetti dirompenti di esplosioni rialziste che soddisfano la fame di breve termine degli investitori, per poi ritrarsi bruscamente al primo rialzo dei tassi di interesse. Un fenomeno strutturale del mercato, e lo mettiamo come quarta causa, è il ritorno tendenziale di lungo termine verso la media.
Sempre per citare Buffett, il suo indicatore misura il rapporto fra il valore del mercato azionario degli Stati Uniti rispetto al suo PIL. Il giorno 24 giugno tale indicatore misurava 171%, passando così da “sopravvalutato” ad “abbastanza valutato”. La relazione Price/Earnings (prezzo/utili) è calcolata ancora intorno a 30 contro un suo livello medio di lungo termine di 17.
I due indicatori di cui sopra ci dicono sostanzialmente che il mercato azionario è ancora molto sopravvalutato.
L’S&P500 e il Nasdaq sono entrati nell’area ribassista di oltre il meno 20%, anche se il primo oscilla tentando di fuggire da detta area. Quando finirà il mercato ribassista?
La media calcolata da Bank of America per i mercati ribassisti è del 37% in 9 mesi. Significa l’S&P500 a 3000 entro ottobre: cioè un altro meno 24% rispetto al livello attuale. Nondimeno, ogni mercato ribassista è diverso dai precedenti.
Ad esempio, nella crisi delle dot-com l’S&P500 ha perso circa il 50%, ma ci ha messo due anni e mezzo. La crisi del 2008 ha visto il calo del 57% in circa 18 mesi. Nel 2011 e nel 2018, il mercato ribassista (o quasi ribassista, riferito alla percentuale del 20%) è durato circa sei mesi. Il crollo della pandemia è durato soltanto un mese. Così, il numero di Bank of America è soltanto un numero, sia pure determinato, sicuramente, da un calcolo accurato basato su dati storici di lungo termine. Fino a gennaio 2022, nessuna proiezione per il mercato azionario incorporava il rischio che la Russia invadesse l’Ucraina, con tutte le conseguenze connesse. Così come nessuna previsione attuale, tiene conto del rischio di un conflitto nel Pacifico a causa di Taiwan.
In sintesi: confrontiamo le opinioni di tutti, analizziamo i dati macroeconomici che servono, discutiamo e studiamo.
Poi, siamo consapevoli che tutto questo non ci servirà assolutamente a nulla per fare trading o investire con successo, perché sarà solo il metodo a determinare il risultato.
Report curato dall’Istituto Svizzero della Borsa, il portale della Conoscenza e della Cultura finanziaria. Sito: www.istitutosvizzerodellaborsa.ch
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