Le minute della Fed, pubblicate ieri sera alle 20.00 ora italiana, non hanno portato alcuna novità rispetto a quanto già di fatto sapevamo. I verbali del FOMC hanno infatti lasciato intendere che la politica monetaria, a detta dei rappresentanti della Fed, è appropriata e sarà così per qualche tempo ancora. Alcuni membri del Consiglio hanno ribadito che le condizioni macro potrebbero addirittura migliorare, rendendo necessario un intervento per alzare il costo del denaro. Altri invece hanno evidenziato come l’inflazione sia in calo, ma questa discesa potrebbe essere solo transitoria. Ma appare chiaro a tutti come l’economia Usa rimanga solida e il dollaro quindi, come conseguenza naturale, resti la divisa più appetibile nel panorama valutario globale, all’interno del quale vi sono monete che hanno ancora bisogno di deprezzarsi per rilanciare la domanda estera. La tensione globale poi, accentua questa tendenza, e privilegia una valuta ad alti tassi e al contempo considerata globalmente valuta rifugio in un momento tanto delicato anche e soprattutto da un punto di vista geopolitico.
Le correzioni a cui assistiamo durante la giornata, non consolidano e prontamente lasciano spazio al trend originario. È successo ieri alla sterlina, scesa tutto il giorno, e poi verso le 18.00 alcuni rumors relativi alle possibili dimissioni di TheresaMay, le hanno fatto recuperare il terreno perduto fino quasi a 1.2700. Ma poi il dollaro ha ripreso a macinare guadagni e siamo tornati questa notte sui minimi a 1.2640. Ma lo stesso vale per le oceaniche e pure il UsdCad, sceso ieri pomeriggio per aver beneficiato di dati positivi sulle vendite al dettaglio canadesi, ben superiori al consensus, si è ripreso quasi 100 pips dai minimi tornando in area 1.3450.
Del resto, il tema vero del periodo è l’aumento della tensione tra Cina e Usa, che al di là della battaglia commerciale, pare essere una guerra a tutti gli effetti, per il dominio tra due grandi superpotenze, un dominio e uno scettro che gli Usa non vogliono perdere. È qualcosa quindi che va al di là della disputa legata alle tariffe e per qualcuno, assomiglia molto a quanto successe negli anni 80’ quando il Giappone si affacciava sulla scena mondiale come superpotenza economica, osteggiati dagli Stati Uniti. Quel periodo fu caratterizzato da una spaventosa rivalutazione del dollaro che, tra il 1980 e 1985 aveva visto il biglietto verde rivalutarsi di circa il 50% contro Jpy, Marco tedesco, Franco Francese e Sterlina. Il Governo Reagan, liberista, si era opposto a interventi concertati sul mercato dei cambi, ma nel frattempo una grande alleanza tra i produttori manifatturieri americani cominciò ad orchestrare una campagna protezionistica per evitare un eccessivo rafforzamento della divisa Usa. La Casa Bianca quindi avviò negoziati, proprio come quelli odierni, che invece di portare ai dazi, che non erano appoggiati da quel governo a stelle e strisce, spinse per un accordo congiunto per deprezzare il dollaro, nel tentativo di ridurre il disavanzo commerciale americano. E allora i Ministri delle Finanze e i Capi di Stato dei 5 paesi più importanti ovvero Francia, Giappone, Regno Unito, Germania e Usa si ritrovarono il 22 settembre del 1985 all’Hotel Plaza a New York e si accordarono per una svalutazione concertata del biglietto verde, attraverso la vendita di circa 10 miliardi di dollari, che allora spinsero per esempio ad una rivalutazione dello Jpy in 2 anni di circa il 50%.
Ciò a cui stiamo assistendo oggi, con le ovvie differenze e nelle dovute proporzioni, sembra molto simile, ovvero un dollaro che schiaccia letteralmente le valute concorrenti, ma fino a quale punto, fino a quando? Trump sta provando ad aggiustare la bilancia commerciale con le tariffe, ma otterrà probabilmente solo un aumento dei prezzi generalizzati in tutto il mondo, perché i paesi che subiscono tale provvedimento, Cina in testa, non staranno a guardare e a loro volta applicheranno tariffe ai prodotti Usa, e intanto il dollaro si apprezza peggiorando le aspettative di ridimensionamento della bilancia commerciale statunitense. Se poi pensiamo che i Cinesi potrebbero uscire dai treasuries, e potrebbero indurre altri paesi a farlo, flussi di capitali che ad oggi finanziano lo sbilancio commerciale Usa, beh allora ci rendiamo conto che forse Trump farebbe meglio a cercare accordi per ridurre il valore del dollaro piuttosto che insistere su un qualcosa che è fine a sé stesso. Ma di fatto si stanno creando due blocchi e la guerra fredda, questa volta con protagonista la Cina invece della Russia, sembra ritornare. Torna la paura?
Saverio Berlinzani per ActivTrades.
Profilo dell'analista
Saverio Berlinzani
Nel 1989 inizia il suo percorso lavorativo nel mercato valutario come spot trader per il Banco Lariano. Dal ’91 per la Banque San Paolo di Parigi come trader su lira e franco francese. Dal ‘92 presso il Banco Lariano di Milano spot trader su tutte le valute SME. Dal ’95 per Swiss Bank Corporation capo cambista – Lugano, Ginevra, Londra.
In questi anni, oltre alla specializzazione sul mercato dello spot come market maker, ha sviluppato conoscenze del mercato dei derivati come trader di posizionamento per l’Istituto (Opzioni vanilla ed esotiche), nonché conoscenza diretta delle valute legate ai paesi emergenti (carry trades).
Dal ’98 è rientrato in Italia come Libero professionista in qualità di Consulente Finanziario e Patrimoniale – Presidente e socio fondatore di una società broker in forex. Dal 2009 ad oggi, trader indipendente nel mercato valutario fondatore del sito www.saveforex.it, community di traders con cui condivide quotidianamente in tempo reale la sua operatività forex attraverso una chat e un webinar live.
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