Per spiegare un poco la situazione attuale, quello che è successo e, soprattutto, quello che è il sentiment per i prossimi mesi, utilizzo parti di report di varie e accreditate società di consulenza sulle loro views per il 2019.
Dove investire nel 2019
Sintetizzando al massimo il senso e risparmiando parti tecniche e complesse, partiamo da quello che si supponeva sarebbe stato il 2018 (parliamo quindi di 1 anno fa circa) alla luce di tutta una serie di indicatori economici:
Di seguito quanto effettivamente successo ai principali asset nel 2018:
Se a livello economico non c’è una vera e forte giustificazione a questa debacle generalizzata, ci si chiedeva allora cosa, a livello politico e sociale, abbia potuto magari influire in maniera negativa, ben consapevoli del fatto che proprio per dinamiche di finanza comportamentale legate alla volatilità del pensiero e delle emozioni umane, nel breve periodo i mercati possono non seguire principi di logicità.
Brexit e politica monetaria
In questo senso, a mio avviso, la situazione Italia, le incognite sulla fine della politica monetaria espansiva (o distensiva) e il problema Brexit hanno destabilizzato, più di altre cose, l’opinione pubblica ancor più dell’economia reale.
Solo ad esempio l’iniziale instabilità del nuovo governo italiano legata a rumors sull’eventuale uscita dall’euro e i dubbi sulla sostenibilità della manovra finanziaria hanno portato lo spread abbondantemente sopra i 300 punti, facendo calare il prezzo dei titoli di stato.
Nell’esempio sotto riportato, su di un Btp scadenza 2022, il calo è stato di un 10% circa:
Guerra commerciale tra USA e Cina
Altro fattore di disturbo è stato quello legato alla guerra commerciale tra USA e Cina dove Trump, più per promesse elettorali piuttosto fantasiose, ha voluto proteggere la produzione made in USA dimenticando però 2 aspetti fondamentali:
- la regola per cui il capitale sia destinato ad andare dove si trova manodopera a basso costo (l’iphone è assemblato con componenti prodotti tutti all’estero)
- una buona fetta del debito pubblico USA è stato sottoscritto proprio dalla Cina.
Il senso però di tutto questo è che viviamo una fase permeata di forte pessimismo e, come spesso succede, determina situazioni di ipervenduto (chi ha paura vende!) che hanno portato molti indici e molti asset ad essere a buon mercato con una precisazione d’obbligo; per quanto leggermente in calo rispetto alle previsioni, l’economia globale è ancora in crescita e ancora lontana da una fase di vera recessione spesso invece ultimamente troppo enfatizzata come scontata (falso) ed imminente (falso). E qui apro una parentesi con sotto un esempio piuttosto imbarazzante sull’attenzione che si deve avere nel prendere sempre per oro colato le notizie che spesso passano anche su giornali che dovrebbero essere specializzati.
Stato di salute delle economie mondiali
Di seguito evidenzio 4 indicatori interessanti sullo stato di salute dell’economia delle principali aree di interesse mondiali:
Il primo, indice PMI, tiene conto di ordini, produzione, consegne e scorte nel settore manifatturiero e, da sempre è un buon indicatore dello stato di salute dell’economia.. in breve.. se sta sopra i 50 punti c’è crescita, se sta sotto no!
Il secondo è legato ai tassi di disoccupazione, da anni mai così bassi.
Il terzo evidenzia la crescita degli utili societari.
Il quarto ci mostra invece una leggera crescita, negli ultimi anni, dell’inflazione.. che se troppo elevata può essere un problema ma che invece entro certi limiti può risultare la certificazione di una crescita in atto.. (si lavora, si produce, si consuma, inevitabilmente facendo un po’ alzare i prezzi).
Discorso a parte per i Paesi Emergenti
Non è infatti una novità come la produzione e la crescita si stiano spostando sempre di più verso queste realtà: manodopera a basso costo, materie prime, infrastrutture ancora da sviluppare.
Certamente per contro ci sono ancora situazioni politiche e sociali che sono assolutamente instabili ma resta fuori di dubbio che in questi paesi c’è il futuro della crescita e della produzione.
E i cali del 2018 hanno reso secondo me i Paesi Emergenti ancora più appetibili, sia a livello azionario che obbligazionario (un titolo di stato indiano a 1 anno rende il 6,8%).