
Nelle ultime settimane, i dati macro provenienti dal primo mondo, hanno lasciato intendere che ben presto, in quello occidentale, dovremo fare i conti con un rallentamento economico più o meno marcato, che in alcune aree sfocerà in recessione. Mentre fino a qualche settimana orsono, le parole dei banchieri centrali erano prettamente improntate alla necessità di molteplici rialzi del costo del denaro per frenare una inflazione galoppante in un contesto di domanda globale che ancora appariva sostenuta, oggi le cose sembrano decisamente cambiate.
I dati di venerdì relativi agli aggregati macro pubblicati dall’Università del Michigan, hanno confermato, dopo settimane di numeri peggiori delle attese, un calo significativo del sentiment dei consumatori, sceso a 50 mentre solo un mese fa era ancora a 58.4 punti. Le aspettative sono addirittura uscite a 47.5, sotto la soglia di 50, rispetto al 55.2 del mese scorso. Le current conditions sono anch’esse scese a 53.8 rispetto al 63.3 di maggio mentre le aspettative di inflazione sono uscite al 5.3%.
Dati che hanno provocato un calo repentino del dollaro nel nostro mercato, contro le principali valute, mentre le borse hanno festeggiato perché ovviamente ciò significherebbe probabilmente una decelerazione da parte della Fed rispetto al precedente programma di rialzo dei tassi. Il Dow Jones ha chiuso con più di 800 punti di rialzo, chiudendo sopra all’apertura della candela settimanale precedente e dopo tre settimane di discesa consecutiva. Anche gli altri indici, Usa ed Europei, hanno tenuto egregiamente i supporti e hanno iniziato un recupero, che ancora non sappiamo fino a dove arriverà, ma certamente è un buon segnale per i mercati.
Se osserviamo però le ragioni di tali movimenti, ci rendiamo conto che non è tutto così positivo come sembra, dato che si festeggia una possibile decelerazione nel rialzo dei tassi a causa di una possibile recessione futura. E non dimentichiamo poi che, almeno a parole, i rappresentanti del Fomc non hanno fatto ancora alcun cenno ad un cambiamento di programma, anche se qualcuno ipotizza che a luglio la Fed non alzerà di 75 punti base ma solo di 50. Vedremo, certamente non dobbiamo dimenticare che le banche centrali devono continuare ad alzare il costo del denaro, per una semplice ragione, che abbiamo cercato di spiegare già in alcune occasioni. E la motivazione più plausibile è che se si dovesse arrivare ad un hard landing, ovvero ad una recessione pesante, con i tassi troppo bassi, gli strumenti a disposizione delle banche centrali e in questo caso della Fed, rischierebbero di non essere sufficienti a far tornare ottimismo agli investitori e a stimolare un recupero dei mercati. Se invece i tassi saranno intorno al 3.5% 4%, il ribasso che verrà successivamente, nel caso di recessione, sarà accolto dai mercati come la manna dal cielo. Sembra un paradosso, ma questa forse è la spiegazione più plausibile.
Sappiamo tutti infatti che alzare i tassi non serve a molto nel breve termine, mentre nel medio l'obiettivo è far calare la domanda, azione necessaria per fare in modo che l’offerta di materie prime possa incontrarsi con la stessa ad un prezzo decisamente inferiore, cosa che altrimenti sarebbe difficile da realizzarsi in un contesto di forte domanda e di offerta ridotta per le mille ragioni che conosciamo, dalla guerra alle interruzioni delle forniture, le cosiddette interruzioni nella catena di produzione e distribuzione.
In ogni caso, questo sembra il quadro generale, pur nelle differenze che si intravedono in ogni paese, nel quale ogni banca centrale mantiene poi le proprie convinzioni sulla politica monetaria. In Europa per esempio, dopo gli ultimi dati tedeschi inferiori alle attese, dall’Ifo ai Pmi della settimana scorsa per esempio, si respira la sensazione che la Bce non rialzerà i tassi neppure a Luglio, aspettando l’autunno per pronunciarsi. Certamente arrivare ad una eventuale recessione con i tassi ancora negativi, sarebbe a nostro avviso pericoloso, con il rischio concreto di perdita di fiducia e credibilità degli investitori verso la politica monetaria europea.
In Uk, la situazione macro forse, allo stato attuale, pare anche peggiore di quella europea ma la Bank of England ha compreso che la politica della Fed è inflattiva per la Gran Bretagna, come ha dichiarato Mann della Boe, settimana scorsa. Il rafforzamento del dollaro infatti spinge la sterlina al ribasso, causando un deprezzamento che appare negativo in relazione ad una inflazione che aumenta progressivamente se la valuta perde quota. Quindi alzare i tassi, serve anche a difendere il tasso di cambio ed evitare di importare ulteriore inflazione. La Boe quindi è probabile che segua la politica statunitense, magari con qualche rialzo in meno.
In Giappone invece, lasciano ancora andare lo Jpy a picco, consapevoli che anche se importano inflazione derivante dalla debolezza dello Jpy, la crescita dei prezzi è ancora decisamente sotto controllo. Siamo al 2.5% con lo Jpy che ha ancora spazio di discesa. Rendimenti dei titoli di Stato ancora intorno allo 0.25%. Sul fronte price action segnaliamo ancora la discesa di UsdCad, in concomitanza con la reazione del petrolio che da 103.00 è tornato in area 106.00 e potrebbe anche fare nuovi tentativi al rialzo.
Il petrolio ancora non può scendere strutturalmente, almeno fino a quando non vedremo bruschi cali della domanda occidentale, cosa che probabilmente accadrà nel prossimo autunno. Sulle oceaniche non c’à molto da dire se non che seguono un mercato dollarocentrico e l’andamento dei cambi principali, che sono ancora i market movers in questo periodo, ovvero EurUsd, UsdJpy e Cable. A nostro avviso però restano favorite vendite di dollari Usa e acquisti di Aud e Nzd sui ribassi.
La settimana si presenta interessante, perché sono attesi dati come la fiducia e le spese dei consumatori americani, ai quali si aggiungeranno la bilancia commerciale e i dati sul mercato immobiliare. Non dimentichiamo i dati su inflazione e disoccupazione per l’Eurozona, oltre al Pil Canadese. Intanto una cosa va osservata prima di chiudere. Le correlazioni cambiano. Ricorderete che i mesi scorsi quando le borse salivano, il dollaro saliva ugualmente. Ora è cambiato il paradigma, perché se le borse salgono, la ragione è il rallentamento nel rialzo dei tassi, che avviene per timori di recessione negli Usa. E questo non può essere positivo per il dollaro.

Saverio Berlinzani per ActivTrades.
Profilo dell'analista

Saverio Berlinzani
Nel 1989 inizia il suo percorso lavorativo nel mercato valutario come spot trader per il Banco Lariano. Dal ’91 per la Banque San Paolo di Parigi come trader su lira e franco francese. Dal ‘92 presso il Banco Lariano di Milano spot trader su tutte le valute SME. Dal ’95 per Swiss Bank Corporation capo cambista – Lugano, Ginevra, Londra.
In questi anni, oltre alla specializzazione sul mercato dello spot come market maker, ha sviluppato conoscenze del mercato dei derivati come trader di posizionamento per l’Istituto (Opzioni vanilla ed esotiche), nonché conoscenza diretta delle valute legate ai paesi emergenti (carry trades).
Dal ’98 è rientrato in Italia come Libero professionista in qualità di Consulente Finanziario e Patrimoniale – Presidente e socio fondatore di una società broker in forex. Dal 2009 ad oggi, trader indipendente nel mercato valutario fondatore del sito www.saveforex.it, community di traders con cui condivide quotidianamente in tempo reale la sua operatività forex attraverso una chat e un webinar live.
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