Abbiamo passato, ormai, il giro di boa di metà anno e se dovessimo tirare una riga e fare un bilancio, potremmo dire che i primi sei mesi di questo 2022 hanno riassunto e messo insieme quanto di peggio ci si potesse attendere, sotto ogni punto di vista. Non ci siamo fatti mancare proprio nulla e a giudicare dalle premesse, potremmo pure aspettarci una seconda parte addirittura peggiore, sia sotto il profilo economico, sia sotto quello sociale e geopolitico.
Riassumendo brevemente la situazione, e senza voler dare un ordine cronologico agli avvenimenti, in quanto si rischierebbe di creare quelle situazioni di causa ed effetto che andrebbero ad alimentare polemiche inutili, ma volendo esclusivamente fare un elenco di quanto successo per poter eventualmente prefigurare qualche scenario futuro, dobbiamo ricordare che tutto quanto è accaduto, sul piano macroeconomico, nasce dalla pandemia del 2020. Un virus inizialmente letale, che ha costretto le autorità politiche e monetarie ad aprire i cordoni della borsa come mai avevano fatto in passato, facendo impallidire, in termini di numeri e cifre, anche i piani di salvataggio, iniziati con la crisi del 2009, dopo il fallimento di Lehman Brothers e lo scandalo dei mutui subprime.
La pandemia del 2020 ha chiaramente condizionato poi le scelte successive e soprattutto i numeri sull’inflazione, che nessuno pensava potesse salire oltre i livelli richiamati come obiettivo dalle banche centrali, intorno al 2%. Se pensiamo che ad agosto 2021 con l’inflazione Usa già ben oltre il 5%, Jerome Powell, parlava ancora di inflazione temporanea e non strutturale, ci rendiamo perfettamente conto della portata degli avvenimenti e della velocità con cui poi gli attori principali, hanno dovuto correre ai ripari, accelerando il processo di drenaggio di liquidità messo in atto da Novembre 2021 in poi.
La Fed ha reagito cominciando ad alzare i tassi, ma forse quando era già troppo tardi, ed ora, al cospetto di dati macro sempre peggiori e in significativo ridimensionamento, man mano che i giorni passano, e che dimostrano come la recessione sia possibile anche negli Usa, la Fed insiste nel mantenere una narrazione dominante fatta di rialzi consecutivi del costo del denaro, per combattere l’inflazione, costi quel che costi, e tra i costi probabilmente c’è anche un possibile hard landing dell’economia. Prezzi saliti peraltro per ragioni esogene, tra cui le strozzature nelle catene di approvvigionamento, come tutti sanno e come ripetiamo da tempo (ci scuserete ma sono e restano i temi dominanti con cui confrontarsi) e soprattutto in ragione delle altre questioni legate alla guerra.
La guerra che rappresenta essenzialmente il secondo grande avvenimento dell’anno e che forse nasce da molto prima, già dagli anni 2000. Vicende di rancori mai sopiti tra le grandi potenze e che ora hanno portato prima all’invasione Russa dell’Ucraina e come conseguenza alle sanzioni, il vero tema economico legato agli effetti del contenzioso bellico. Sanzioni che per ora non sembrano aver sortito grandi effetti, dato che a sottoscriverle sono stati esclusivamente i paesi occidentali, ma non le potenze emergenti come Cina, Brasile, India e Sud Africa. Tutto ciò ha portato ad una riduzione dell’offerta energetica con una domanda sempre forte, e quindi ad un rialzo violento dei prezzi di petrolio, gas e quasi tutte le altre materie prime. Nonostante si siano viste correzioni nei prezzi di queste ultime, nelle scorse settimane, i prezzi restano alti nonostante siano già evidenti gli effetti sulla domanda in occidente, che a settembre potrebbe trovarsi di fronte a razionamenti e a un calo importante della congiuntura.
Ma il vero problema nasce nel momento in cui le banche centrali, hanno deciso di non fermarsi, almeno per ora, dal rialzo dei tassi e dal drenaggio di liquidità e il rischio che si arrivi ad un hard landing aumenta. Ma perché questo atteggiamento? Perché, se si giungesse ad una recessione dura (hard landing) ancora con i tassi bassi, le autorità monetarie dovrebbero ammettere la loro sconfitta e la loro impotenza di fronte ad essa, senza chance di abbassare il costo del denaro tra i loro tools di politica monetaria. Ecco la vera ragione di questo approccio. E più alzano, più la recessione a partire dal prossimo autunno, sarà possibile.
Sul fronte valutario, questi primi mesi dell’anno, ci hanno dimostrato come gli investitori siano spaventati e non sappiano che pesci prendere, tanto è vero che l’unica valuta che hanno comprato è stato il dollaro, perchè esso rappresenta un porto sicuro (ma lo è ancora poi?) in caso di guerra e hanno contestualmente venduto Jpy perché la Boj ha di fatto dichiarato che le andava bene deprezzarlo in ragione di una inflazione troppo bassa nel paese del sol levante. Debolezza estrema anche per Euro e Sterlina, monete dei paesi più colpiti dalla guerra e dalle sanzioni.
Questo scenario però, non tiene in considerazione un rischio che noi intravediamo nel medio termine e che è legato ad una eventuale de-dollarizzazione, alimentata dalla Russia e che altri paesi emergenti (forse faremmo meglio a chiamarli emersi) sembrerebbero voler appoggiare. Se così fosse, dopo questo rialzo importante della divisa Usa, che potrebbe proseguire ancora qualche mese, in dipendenza della durata degli avvenimenti che abbiamo richiamato, potremmo assistere anche ad una marcata discesa della divisa Usa. A noi tutto questo ricorda gli avvenimenti che precedettero gli accordi del Plaza del 1985, presi dai paesi del primo mondo (Francia Giappone, Regno Unito, Germania e Usa) per evitare una eccessiva rivalutazione del dollaro, e che portarono poi a ribassi violenti della divisa Usa. Se pensiamo che alla base delle ragioni di allora, vi era una bassa competitività Usa nei confronti con l’estero tale da spingere industriali, agricoltori e produttori di manufatti a protestare e chiedere maggiore protezionismo, e osserviamo quanto accade oggi osservando la bilancia commerciale Usa, ci si rende conto che potremmo non essere lontani da un evento del genere. La giustificazione per la svalutazione del dollaro, nel 1985, era duplice: da un lato sarebbe servita a ridurre il disavanzo delle partite correnti degli Stati Uniti, che aveva raggiunto il 3,5% del PIL, mentre dall’altro avrebbe aiutato l’economia a stelle e strisce ad uscire da una grave recessione che ebbe inizio nei primi anni ottanta e che veniva dalla stagflazione degli anni 70 derivante dalla crisi petrolifera e dall’aumento generale delle materie prime. Quel che accade oggi. Per di più, se osserviamo i dati Usa di questo 2022, il disavanzo del primo trimestre è stato il 4,8% del prodotto interno lordo, rispetto al 3,7% del quarto trimestre 2021. Se poi gli Stati Uniti, entrassero anche in recessione verso la fine del 2022, ecco che le condizioni per qualcosa di analogo a quanto accadde nel 1985, prendono corpo. E quindi? Che dovremmo fare sui mercati?
Per ora la recessione è prematura anche se i dati peggiorano, e la Fed sembra intenzionata ad alzare ancora il costo del denaro a Luglio di 75 basis points, e proprio per l’appetibilità remunerativa del biglietto verde, il green back resta favorito sulle divise concorrenti, senza dimenticare però che la svalutazione delle altre valute non piace (Bce e Boe potrebbero presto rilasciare dichiarazioni contro gli eccessi di ribasso di Euro e sterlina), perché quest’anno il mantra non è deprezzare per esportare di più, ma rivalutare per importare meno inflazione. Non dimentichiamolo mai. Ma vendere dollari, quasi certamente, ora, è prematuro.
Saverio Berlinzani per ActivTrades.
Profilo dell’analista
Saverio Berlinzani
Nel 1989 inizia il suo percorso lavorativo nel mercato valutario come spot trader per il Banco Lariano. Dal ’91 per la Banque San Paolo di Parigi come trader su lira e franco francese. Dal ‘92 presso il Banco Lariano di Milano spot trader su tutte le valute SME. Dal ’95 per Swiss Bank Corporation capo cambista – Lugano, Ginevra, Londra.
In questi anni, oltre alla specializzazione sul mercato dello spot come market maker, ha sviluppato conoscenze del mercato dei derivati come trader di posizionamento per l’Istituto (Opzioni vanilla ed esotiche), nonché conoscenza diretta delle valute legate ai paesi emergenti (carry trades).
Dal ’98 è rientrato in Italia come Libero professionista in qualità di Consulente Finanziario e Patrimoniale – Presidente e socio fondatore di una società broker in forex. Dal 2009 ad oggi, trader indipendente nel mercato valutario fondatore del sito www.saveforex.it, community di traders con cui condivide quotidianamente in tempo reale la sua operatività forex attraverso una chat e un webinar live.
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