Possiamo dire che quello che stiamo vivendo nelle ultime sedute, rappresenti realmente il cambiamento del paradigma che aveva fin qui caratterizzato il secondo e il terzo trimestre di quest’anno, ovvero quello legato ad una indiscutibile forza del biglietto verde? Possiamo finalmente dire di essere entrati in un mercato orso per la divisa Usa? Sia da un punto di vista macro, che da un punto di vista tecnico, non possiamo ancora azzardarci a confermare questa ipotesi.
Andando a guardare le correlazioni, possiamo invece affermare come quest’anno, si siano ribaltate rispetto all’analisi classica che abbiamo sempre fatto, ovvero quella secondo cui le valute ad alto tasso rappresentino valute da investimento e quelle a basso tasso valute rifugio.
Quest’anno il paradigma si è ribaltato, infatti nei periodi di appetito al rischio, il Dollaro è sceso mentre in quello di latente o reale avversione al rischio il Dollaro è salito. Vi è una ragione però ed è molto chiara. Gli Usa sono stati gli unici a muoversi correttamente sui tassi, approfittando comunque di una congiuntura ancora in espansione, per alzare gradualmente il costo del denaro, mentre tra gli altri paesi, nessuno ha seguito questa politica, perché l’espansione in queste aree ha subito un rallentamento importante.
Le ragioni sono ovviamente legate al fatto che gli Usa hanno adottato una politica economica egoistica, legata al famoso mantra “make America great again”, con la quale Trump non ha esitato a promettere dazi che di fatto, ancor prima di essere applicati, hanno provocato una perdita di fiducia che ha colpito i paesi emergenti prima e gli altri paesi del primo mondo dopo, oceanici in testa, seguiti dall’Europa e Gran Bretagna, sulla quale ha pesato anche l’incertezza sui colloqui con la Ue per la Brexit. E quindi il dollaro ha rappresentato un paradigma diverso, legato al fatto che oltre ad essere valuta da investimento, ha rappresentato anche il porto più sicuro dove parcheggiare la propria liquidità valutaria.
Oggi qualcosa sembra cambiare sullo scenario del nostro mercato, perché probabilmente tutte le notizie negative sulla guerra commerciale in atto, sembrano ormai scontate nei prezzi di principali rapporti di coppia, anche degli emergenti, pertanto potremmo assistere ad un cambiamento di rotta e ad una uscita progressiva dal biglietto verde. Anche perché gli ultimi dati macro, negli Stati Uniti, evidenziano un rallentamento più o meno marcato, a causa dell’effetto restrittivo sui risultati economici, del rialzo dei tassi. Inoltre, dopo tanti mesi di dati macro in rallentamento nei paesi emergenti e anche come conseguenza negli oceanici, abbiamo le prime avvisaglie di una inversione di tendenza, che si sta notando nei dati macro relativi all’Australia e alla Nuova Zelanda, ma anche parzialmente ai dati canadesi.
Da un punto di vista tecnico, però, la reazione a cui stiamo assistendo, da parte delle valute concorrenti rispetto al dollaro, non ha ancora confermato alcun cambiamento di trend e per ora si tratta solo di correzioni tecniche rilevanti. Per avere conferme, occorre verificare la rottura di certi livelli che andiamo a richiamare.
Per quanto riguarda EurUsd solo la violazione di 1,1840 50 potrebbe radicalmente invertire la rotta della moneta unica, che nonostante sembri estremamente impulsiva, rimane ancora sotto i punti chiave.
Per quel che concerne la Sterlina, invece, sempre sulle montagne russe a causa delle continue ed estenuanti dichiarazioni relative a questo benedetto accordo tra Uk ed Eu, solo la rottura dell’area compresa tra 1,3300 e 1,3340 potrebbe confermare la formazione di minimi crescenti (già in atto) e massimi crescenti di medio termine (ancora da confermare), portando ad invertire il trend di lungo termine.
Nel caso di AudUsd, i livelli da osservare sono posti in area 0,7360 ma soprattutto, volendo osservare il medio e lungo termine, 0,7470 che rappresenterebbe la rottura della ema 200 sul grafico giornaliero.
Per quanto riguarda il Dollaro neozelandese, oltre al livello posto a 0,6730 40, dobbiamo considerare l’area di 0,6860 70 come la trigger area per il cambiamento del trend di medio. Pertanto, ad oggi, siamo su correzioni significative, importanti, ma non dimentichiamo dove siamo osservando la big picture.
Mercoledì prossimo peraltro, la Fed alzerà il costo del denaro ancora una volta acuendo così il delta tasso con le altre valute. Un segnale che, in assenza di conferme di rallentamento macro negli Usa, riproporrebbe prepotentemente la forza del dollaro legata alle aspettative sui tassi di interesse. Staremo a vedere, ma almeno la price action diventa interessante e non monocorde come è stata fino ad oggi.
Saverio Berlinzani per ActivTrades.
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