Sui mercati finanziari non si intravedono ancora quei segnali di avversione al rischio che avevano invece caratterizzato l’inizio di questo 2018. Anche a livello geopolitico assistiamo ad un allentamento della tensione sia in Siria, sia nel Sud Est asiatico, con prospettive sorprendenti di denuclearizzazione e di pace tra le due Coree.
Come molti sapranno, non siamo sempre stati teneri con Trump e il suo entourage, ma con onestà intellettuale bisogna ammettere che questa amministrazione si sta contraddistinguendo per essere estremamente attiva in ogni campo, da quello economico interno, con gli effetti dei tagli fiscali che cominciano a farsi sentire, e con le decisioni prese per favorire gli States a tutti i livelli, comprese quelle dei dazi, che hanno allentato evidentemente la pressione che precedentemente si era riversata sul biglietto verde, nonché infine del suo impegno in geopolitica atto a favorire un accordo di pace tra le due Coree.
Se proprio dobbiamo trovare un neo (importante per carità), va ricercato nell’assurdo e inutile interventismo in Siria. Ma ora che il suo programma marcia spedito, il mercato ricomincia ad osservare i fondamentali e ciò che sorprende maggiormente, in queste ultime settimane, è osservare l’aumento della divergenza tra crescita Usa e quella delle altre zone industrializzate. Si pensava che gli Usa fossero alla fine del ciclo economico rialzista, mentre altre aree, compreso Europa e Giappone, fossero ancora indietro ma in recupero, ed invece, ad oggi, i dati americani continuano ad uscire migliori, mentre quelli degli altri paesi industrializzati, paiono addirittura in rallentamento. Ciò vale anche per i numeri relativi all’inflazione, che negli States rimane sopra al 2%, stabile e in fase di consolidamento, così come gli altri aggregati economici, a partire da occupazione e salari settimanali, mentre in Europa rimaniamo intorno all’1.4% per quanto riguarda i prezzi al consumo (con rimanenti aggregati in leggera flessione), e in Giappone intorno all’1.1%. E tutto questo con tassi Usa vicino al 2% mentre in Europa e Giappone persistono il Qe e Qqe, con poche possibilità di rialzo del costo del denaro nel prossimo futuro.
Di fronte a questo scenario, in assenza di notizie che possano modificarlo, che peraltro riteniamo improbabili, il dollaro dovrebbe ricominciare a salire strutturalmente ai danni delle altre valute. Tanto più che, se anche dovessimo assistere ad un rallentamento strutturale della congiuntura globale, la Fed avrebbe gli strumenti per far ripartire l’economia, attraverso una possibile riduzione dei tassi mentre in Europa, gli spazi di manovra, sarebbero verosimilmente limitati, qualcuno si azzarda a definirli nulli, a meno di non considerare l’ipotesi di un aumento ulteriore della liquidità, che arrivasse finalmente anche alle aziende e cittadini, che in gergo qualcuno ha chiamato, nel recente passato, il cosiddetto “helicopter money”, come ultimo strumento per dare fiato ad economie in crisi. Ma non si capisce se sia più una boutade, oppure se possa essere considerata realmente possibile.
L’Euro, sopra certi livelli, a noi pare realmente fuori linea con i fondamentali, tanto più che l’inflazione, che pareva in crescita nell’area, ha subito una brusca frenata negli ultimi mesi, guarda caso quando l’Euro ha superato quota 1.2000. I livelli da osservare ora sono posti in area 1.2220 1.2270, che, se superati, riproporrebbero una accelerazione rialzista anche significativa, che a noi sorprenderebbe. Come abbiamo ricordato, il differenziale di tasso, dovrebbe, nel medio termine, tornare ad essere la ragione per i movimenti valutari, proprio perché i fondamentali delle varie aree, stanno divaricandosi a favore di un’area e a scapito di altre.
Saverio Berlinzani per ActivTrades.
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