3 Dicembre, 2025
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    Analisi dei mercatiOutlook economico 2023. Perché l'Europa potrebbe sorprendere

    Outlook economico 2023. Perché l’Europa potrebbe sorprendere

    Trasmettiamo di seguito un contributo sulle prospettive contrastanti dell'Eurozona e del Regno Unito per il 2023 a cura degli analisti di Wellington Management.

    Tra le principali evidenze:

    • Se l'anno prossimo non si verificherà una profonda recessione, l'inflazione si rivelerà probabilmente molto più elevata e duratura di quanto previsto dalla Banca Centrale Europea. Questo implica che il rischio sia orientato verso un ciclo di rialzi più sostenuto di quanto previsto dal mercato.
    • L'Eurozona entrerà in una lieve recessione entro la fine dell'anno e il suo PIL potrebbe contrarsi dello 0,5% nel 2023.
    • Potrebbero essere necessari segnali di stabilizzazione prima che la BCE prenda in considerazione l'idea di un ulteriore rialzo, ma i fondamentali dell'inflazione sono coerenti con un tasso terminale decisamente più alto.
    • È probabile che nel 2023 la riduzione del bilancio della BCE superi quella della Banca d'Inghilterra e della Fed, in quanto i prestiti legati alle sue operazioni di rifinanziamento di più lungo termine giungono a scadenza e il quantitative tightening inizierà all'inizio del 2023.

    Anche se si sta avvertendo un deterioramento delle prospettive per l'Europa nel 2023, la gamma di possibili scenari riguardanti la crescita nel prossimo anno è molto ampia, con chiari rischi di ribasso, ma anche potenziali sorprese al rialzo. Se l'anno prossimo non si verificherà una profonda recessione, l'inflazione si rivelerà probabilmente molto più elevata e duratura di quanto previsto dalla Banca Centrale Europea (BCE). Questo implica che il rischio sia orientato verso un ciclo di rialzi più sostenuto di quanto previsto dal mercato. Nel Regno Unito, la nuova leadership ha stabilizzato la situazione con una legge di bilancio più ragionevole, ma non ha offerto una soluzione alle carenze strutturali del Paese: crescita debole, forti squilibri esterni e inflazione elevata.

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    Prospettive in peggioramento con una vasta gamma di possibili esiti

    Sul versante negativo, lo shock commerciale causato dall'aumento dei prezzi energetici equivale a una riduzione del PIL stimata tra il 3% e il 4%, mentre la brusca compressione dei redditi reali delle famiglie e dei margini delle imprese ha spinto il sentiment a livelli peggiori di quelli che si erano registrati durante la crisi finanziaria globale del 2008/2009. A nostro avviso, l'Eurozona entrerà in una lieve recessione entro la fine dell'anno e il suo PIL potrebbe contrarsi dello 0,5% nel 2023.

    I prezzi dell'energia continueranno a rappresentare un rischio importante anche per l'anno prossimo. Il rischio di razionamento del gas nei prossimi mesi è decisamente diminuito, grazie alla forte reazione nella domanda all'aumento dei prezzi e a un inizio mite dell'inverno. Tuttavia, il rifornimento delle scorte di gas per il prossimo inverno rappresenterà una sfida, soprattutto se la Cina dovesse riprendersi l'anno prossimo e iniziare a competere per ottenere un maggior numero di spedizioni di gas naturale liquido (GNL).

    Ma c'è anche spazio per sorprese al rialzo. In primo luogo, le condizioni finanziarie non risultano ancora rigide e l'impulso fiscale in gran parte dell'Europa dovrebbe rimanere positivo nel 2023, in netto contrasto con la maggior parte del mondo sviluppato. Dall'inizio del 2022, i governi hanno annunciato l'equivalente di quasi cinque punti percentuali di PIL in misure a sostegno delle famiglie e delle imprese, e il piano per la ripresa dell'UE NextGenerationEU dovrebbe essere potenziato l'anno prossimo. In secondo luogo, in Europa permangono sacche di domanda e produzione represse: i portafogli ordini sono ancora a livelli record e le famiglie detengono l'equivalente di sei punti percentuali di PIL in risparmi forzati, che potrebbero essere impiegati. In terzo luogo, il canale del credito sta funzionando bene per la prima volta in oltre un decennio, con l'equivalente di circa mezzo punto percentuale di PIL di prestiti netti al settore privato ogni mese.

    Rischi legati alla forza dell'inflazione, ancora sottovalutata, e a un tasso terminale più elevato

    L'impennata dei costi energetici ha contribuito a far salire l'inflazione dell'Eurozona a quasi l'11% quest'anno, un livello record e oltre cinque volte superiore all'obiettivo della banca centrale. Prevediamo che nei prossimi anni l'inflazione derivante dalla componente energetica rimarrà più elevata che nel resto del mondo, data la probabile continua contrazione del mercato del GNL.

    Ma l'aumento dell'inflazione in Europa non è solo un fenomeno legato alle materie prime. L'inflazione di fondo è salita al 5% e ora supera l'inflazione statunitense per gli indicatori di breve termine. Riteniamo che queste dinamiche siano destinate a persistere, con l'inflazione europea che rimarrà molto più elevata di quella degli ultimi 10-15 anni e potenzialmente più alta della media dei mercati sviluppati. La forza del mercato del lavoro è a livelli record e i nostri indicatori suggeriscono che la crescita dei salari potrebbe arrivare al 5%-6% nei prossimi trimestri.

    Inoltre, l'adeguamento deflazionistico nelle aree periferiche che ha determinato la debolezza dell'inflazione nell'Eurozona nell'ultimo decennio è terminato: l'inflazione interna è salita al di sopra del livello core per la prima volta dal 2012 e sarà stimolata nel tempo dalla spesa associata al piano di rilancio dell'Unione Europea.

    Le aspettative di mercato sul livello di rialzo dei tassi della BCE sono aumentate in modo considerevole, ma se combiniamo le nostre prospettive di crescita e inflazione e applichiamo una semplice Regola di Taylor (che suggerisce che per smorzare l'inflazione, il tasso reale deve aumentare in modo proporzionale) è necessario raggiungere un picco di tassi nell'Eurozona pari al 5-6% rispetto al 3% registrato attualmente. In altre parole, senza questi rialzi, per riportare l'inflazione all'obiettivo del 2%, l'anno prossimo sarebbe necessaria una profonda contrazione del PIL di circa il 6%. Non sarà un percorso lineare: la BCE non è concentrata quanto la Federal Reserve (Fed) statunitense sul raggiungimento del suo obiettivo di inflazione e vuole assicurarsi di evitare un ampliamento disordinato degli spread periferici. Pertanto, potrebbero essere necessari segnali di stabilizzazione prima che la BCE prenda in considerazione l'idea di un ulteriore rialzo, ma i fondamentali dell'inflazione sono coerenti con un tasso terminale decisamente più alto.

    Interessi sul conto

    Sacche di vulnerabilità

    È probabile che nel 2023 la riduzione del bilancio della BCE superi quella della Banca d'Inghilterra e della Fed, in quanto i prestiti legati alle sue operazioni di rifinanziamento di più lungo termine giungono a scadenza e il quantitative tightening (inasprimento quantitativo) inizierà all'inizio del 2023. Unitamente ai grandi piani di emissione, ciò dovrebbe esercitare una maggiore pressione al rialzo sui premi per detenere bond a più lunghe scadenza l'anno prossimo.

    In Europa ci sono due aree che appaiono vulnerabili in questo contesto. La prima è il debito sovrano italiano, che ora supera il 150% del PIL. Sebbene il nuovo governo abbia presentato una prima legge di bilancio piuttosto ragionevole, il rischio è che l'indebitamento sia più elevato del previsto. I sussidi per l'energia sono stati applicati solo per un trimestre, quindi se i prezzi energetici rimarranno alti, il governo si troverà sotto pressione per mantenerli in vigore più a lungo. Una seconda area vulnerabile è rappresentata dall'elevato livello di indebitamento delle famiglie nei paesi scandinavi. Questo dovrebbe limitare i cicli di rialzo dei tassi in Svezia e Norvegia rispetto ad altri Paesi e aumenta il rischio di un forte adeguamento al ribasso dei prezzi delle case in entrambi i Paesi. In Svezia questa dinamica sembra già in atto. Ciò implica anche la necessità di un deprezzamento delle valute man mano che entrambe le economie si discostano da un modello di crescita trainata dalla domanda interna.

    Un percorso difficile per il Regno Unito

    Anche l'economia britannica sembra esposta a ulteriori sfide in vista del 2023. L'amministrazione di Liz Truss ha avuto una vita eccezionalmente breve per via del suo “mini-bilancio”, un pacchetto di pesanti misure fiscali che è stato mal pianificato, mal comunicato e mal eseguito. Tuttavia, in sostanza, questo mini-budget cercava di risolvere due problemi strutturali con cui il Regno Unito è da tempo alle prese: dal crollo finanziario del 2008 la crescita della produttività è stata praticamente nulla e dal 2016 la spesa in conto capitale è rimasta piatta o è calata.

    Con una nuova leadership e una legge di bilancio radicalmente diversa, la politica fiscale ha completamente invertito l'allentamento fiscale pari a 9% del PIL annunciato a settembre. Sebbene questo abbia risolto le preoccupazioni immediate del mercato, le autorità politiche del Regno Unito devono fare i conti con un'inflazione a doppia cifra, un mercato del lavoro molto contratto (determinato soprattutto dalla contrazione dell'offerta, dato che un numero crescente di persone ha abbandonato la forza lavoro per motivi strutturali come le malattie di lunga durata) e un'accelerazione della crescita dei salari. Poiché la Banca d'Inghilterra ha dimostrato di essere molto sensibile alla crescita economica negativa, questo potrebbe far sì che il ciclo di rialzo dei tassi si fermi al di sotto di quanto necessario per ricondurre l'inflazione verso il suo obiettivo. Queste circostanze potrebbero rappresentare una sfida per la sterlina, soprattutto se dovesse profilarsi all'orizzonte una lunga recessione, e in ultima analisi potrebbero rafforzare le pressioni inflazionistiche esistenti.

    In conclusione, ci aspettiamo che il ciclo economico europeo resti volatile, con un'ampia distribuzione di possibili scenari, e che l'inflazione rimanga ostinatamente elevata.

    Outlook economico a a cura di Eoin O'Callaghan e John Butler, Macro Strategists di Wellington Management

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    Amministratore e CEO del portale www.doveinvestire.com, Simone Mordenti è anche analista finanziario, trader con oltre 25 anni di esperienza. Classe 1974, si avvicina al mondo del trading, ed in particolare agli investimenti su indici di borsa e azioni, grazie all’affiancamento di esperti del settore. Una forte passione per le scienze statistiche e l’analisi tecnica sui mercati finanziari, da diversi anni si occupa di giornalismo finanziario in diversi portali del settore, in veste di analista tecnico e trading advisor.
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