Il prodotto interno lordo degli Stati Uniti è cresciuto del 5.7% nel 2021: l’Associated Press, in un articolo del 28 gennaio scorso, ci informa che è stata la crescita più forte dal 1984, quando si ebbe un +7,2% dopo un periodo di recessione.
È sempre l’Associated Press che riferisce la soddisfazione di Biden in una sua dichiarazione dove ritiene “si stia costruendo l’economia americana per il ventunesimo secolo” (un po’ tardi, oserei dire). Biden rammenta anche “il più grande anno di crescita del lavoro nella storia americana“.
A fronte della soddisfazione di Biden, è arrivata la dichiarazione del Fondo Monetario Internazionale, riportata dal Wall Street Journal, che gettava acqua sul fuoco dell’entusiasmo, prevedendo una crescita più modesta a livello mondiale: il 4,4% anziché il 5,9%, e il calo più marcato fra i paesi più importanti sarà proprio quello degli Stati Uniti, con il 4%, un declassamento dell’1,2%.
Vedendo queste apparenti contraddizioni fra euforia e delusione, e paragonando tutto questo con il mercato, riusciamo a comprendere meglio che cosa è avvenuto la scorsa settimana.
Difficile ricordare un ri-test dei minimi simile a quello avvenuto sull’S&P500. Una oscillazione di circa 200 punti su e giù da minimo a massimo, perdurata da lunedì a venerdì, con un lunedì nerissimo, dove l’affondo è stato terrificante, ma altrettanto sorprendente il recupero di fine giornata e il continuo su e giù durato fino a venerdì sera. La conclusione di settimana è sui massimi, senza avere sfondato i massimi di metà settimana, ma con una chiusura alta.
Un po’ lo stesso fenomeno che avevamo visto sui massimi e che avevamo commentato su queste colonne, è accaduto ora sui minimi, lateralità ossessiva, solo, stavolta, su livelli di volatilità molto più elevata e un Vix in area trenta punti.
In definitiva, ancora un mercato che quando si muove va a velocità folle, spesso imprendibile, trascinato dalla liquidità ultra-abbondante e da volumi assordanti. Ma, alla fine, un sentiment indeciso e incapace di imprimere una vera direzione per la maggior parte del tempo.
Un criceto che va su e giù per giorni e giorni e poi si mette a correre per due-tre ore, ogni tanto, come una Ferrari. Difficile, davvero, seguirlo, eppure sembrava un criceto …
Il rapporto positivo sul PIL americano ha sostanzialmente coinciso con il calo più marcato degli indici azionari mondiali dal crash del Covid di febbraio-marzo 2020.
In realtà, questo è comprensibile se si considerano quattro fattori:
- cambiamento di politica monetaria della FED
- il tasso di inflazione record da 40 anni a questa parte
- il picco di casi di variante Omicron che costringe le persone a rimanere a casa dal lavoro
- l’escalation della minaccia russa in Ucraina.
Nel mondo, il Nikkei giapponese è stato fra i più colpiti, dal massimo a 31 anni di 30.795 è precipitato del 15,4% al minimo della scorsa settimana a 26.044. L’ASX australiano è sceso dell’11,5% dal massimo storico del 5 gennaio, lo Shanghai Composite ha perso il 9,5%, dal massimo a 3708 del 13 dicembre scorso, al minimo di venerdì a 3356.
Il Nifty indiano ha perso l’8,5% del suo valore in una sola settimana. In controtrend l’Hang Seng di Hong Kong che ha sostanzialmente resistito.
In Europa, l’AEX olandese è crollato dell’11,5%, mentre SMI svizzero e DAX tedesco sono andati quasi di pari passo con una perdita dell’8,7% e dell’8,2% rispettivamente.
Il Ftse di Londra è stato il più stabile con solo il 4,3% tra massimo recente del 20 gennaio e minimo del 24 gennaio: a dimostrare quello che alcuni giorni fa avevamo scritto sulla tendenziale maggiore prospettiva di rialzo che vedevamo nel 2022 sulle azioni del Regno Unito rispetto al resto d’Europa.
Quanto agli americani, dai rispettivi massimi storici, il Dow Jones è sceso del 10,3%, il Nasdaq Composite del 19,2% e l’S&P500 del 12,3%.
Il Brasile con il suo Bovespa è andato esattamente a rovescio: a novembre, quando il Nasdaq era sui massimi, toccava i minimi, e la settimana scorsa ha chiuso con un +13%.
Il petrolio ha toccato i 90 dollari, diretto ormai verso la tappa dei 100 dollari e chissà poi più sopra. Il dollar index ha raggiunto quota 97,44 venerdì scorso, mentre l’euro sprofondava al più basso livello da maggio 2020.
Oro e argento sono stati coerenti con l’ascesa del dollaro ed entrambi sono andati in forte discesa. Il Bitcoin è sceso a 32.950, ai minimi dell’estate scorsa, in calo del 52,75% dal suo massimo storico del 10 novembre.
L’inizio della guerra civile americana ha data nel 1861. 80 anni dopo, il 7 dicembre 1941 gli Stati Uniti entravano nella seconda guerra mondiale. 80 anni dopo è il 2021-2022 …
Non so se è questo pensiero che agita i mercati, per la tensione ai confini con l’Ucraina. Di certo, c’è molta tensione sotto la cenere.
L’inflazione ci accompagnerà fino a metà del 2023, secondo le previsioni dell’Istituto Svizzero della Borsa, ma sarà contraddistinta quest’anno da tre onde successive, una di alta inflazione, che stiamo vivendo, una riduzione della stessa da giugno a ottobre, e una nuova ondata forte fino a metà del 2023. La FED seguirà la sua politica monetaria in parallelo a tali onde.
Il segnale di venerdì scorso, sui mercati americani, sembra un desiderio forte di ritorno al rialzo. Desiderio ulteriormente motivato da una correzione significativa che ha riportato i prezzi in aree di acquisto interessanti per alcuni titoli.
Sarà un rimbalzo? Ci aspetta un’altra onda ribassista dopo un po’ di recupero? O è una inversione di trend per andare a fare nuovi massimi? Nel nostro algoritmo manca un nuovo massimo dell’S&P500 a 4859, ma il tempo è saltato e vedremo che cosa accade.
Credo che già la settimana prossima vedremo qualcosa di più chiaro: i segnali di tenuta del mercato saranno molto più evidenti di quelli che abbiamo avuto nella settimana trascorsa a vedere ondeggiare l’S&P500 di più o meno 100 punti da un asse centrale nella zona dei minimi segnati a fine settembre. Un supporto che nell’immediato dei prossimi giorni pensiamo ormai molto difficile da rompere.
Report curato dall’Istituto Svizzero della Borsa, il portale della Conoscenza e della Cultura finanziaria. Sito: www.istitutosvizzerodellaborsa.ch
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