2 Ottobre, 2025
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    Mercato AzionarioPerché il mercato azionario non crolla? La verità che pochi dicono

    Perché il mercato azionario non crolla? La verità che pochi dicono

    Perché il mercato azionario non è crollato: la verità che pochi dicono

    C’è un paradosso che sta scuotendo la finanza mondiale: i mercati azionari americani volano come se nulla potesse scalfirli, eppure ogni indicatore parla di sopravvalutazione estrema. Gli stessi strumenti usati da Warren Buffett – notoriamente prudente e razionale – segnalano livelli di rischio mai visti negli ultimi decenni. Perché allora Wall Street non crolla? Quale forza invisibile alimenta questa crescita apparentemente infinita?

    Le risposte non sono ovvie e riguardano dinamiche molto più profonde del semplice andamento degli utili aziendali. Tra spesa pubblica fuori controllo, svalutazione del dollaro e un ordine mondiale in trasformazione, si nasconde il vero motore che spiega questa anomalia. Capire questi meccanismi non è solo una questione di curiosità: può fare la differenza tra chi subisce passivamente il prossimo cambiamento e chi riesce a trasformarlo in un’opportunità concreta di investimento.

    L’anomalia dei mercati e il paradosso di Buffett

    Il mercato azionario statunitense si trova in una situazione senza precedenti. Tutti gli indicatori fondamentali mostrano un’evidente sopravvalutazione, eppure i listini continuano a correre. Persino Warren Buffett, storico ottimista a lungo termine, oggi preferisce accumulare liquidità invece di esporsi con nuovi investimenti.

    Uno dei suoi parametri più noti, il cosiddetto “Buffett Indicator”, mette nero su bianco la realtà: il rapporto tra la capitalizzazione complessiva delle azioni americane (circa 66 trilioni di dollari) e il PIL USA (30 trilioni) si attesta al 216%. Un livello quasi doppio rispetto alla soglia del 100% che segna il confine tra mercato sopravvalutato e sottovalutato.

    Buffett Indicator

    Per confronto, nel pieno della bolla dot-com del 1999 l’indicatore era al 150% e il mercato subì un crollo superiore al 60%. Oggi siamo ben oltre quei livelli.

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    Valutazioni fuori controllo: il caso delle Big Tech

    Un altro segnale allarmante proviene dai rapporti prezzo/utili (P/E) delle principali aziende americane. I dieci titoli più pesanti dell’indice S&P 500 registrano un valore medio vicino a 66. Anche ipotizzando un premio per le società tecnologiche, una valutazione “sana” dovrebbe oscillare tra 25 e 30, non certo a questi estremi.

    Gli investitori, in sostanza, stanno pagando cifre sproporzionate per ogni dollaro di utili generato, nella speranza che i prezzi continuino a salire.

    Il ruolo della spesa pubblica USA

    Per comprendere perché il mercato non abbia ancora subito una correzione, occorre guardare oltre Wall Street e osservare la politica fiscale statunitense.

    Ogni anno il governo americano raccoglie circa 5 trilioni di dollari in tasse, reinvestiti in programmi sociali, sanità, difesa e interessi sul debito. A questi si aggiunge un disavanzo di oltre 2 trilioni finanziato a debito.

    Questa enorme quantità di denaro alimenta i consumi dei cittadini e finisce inevitabilmente nelle casse delle grandi corporation: dagli smartphone alle auto, dai carburanti ai servizi essenziali. Il risultato è un flusso costante di ricavi che sostiene gli utili aziendali e, di riflesso, le quotazioni azionarie.

    In altre parole, il debito federale agisce da sostegno artificiale ai mercati.

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    L’ordine mondiale in trasformazione

    Dal 1945 gli Stati Uniti hanno guidato il sistema economico e finanziario globale. Oggi, però, la supremazia americana è messa in discussione da nuove potenze: Cina, India e altre economie emergenti stanno costruendo sistemi finanziari e alleanze geopolitiche alternative.

    Washington, consapevole della sfida, ha scelto una strategia aggressiva: indebitarsi senza precedenti per mantenere la leadership fino a quando il nuovo ordine mondiale sarà definito. Nei prossimi 10-15 anni, le proiezioni governative prevedono disavanzi cronici e sempre più elevati.

    Inflazione e svalutazione del dollaro

    Un’espansione monetaria di queste dimensioni non può che portare a una progressiva svalutazione del dollaro. Il meccanismo è semplice: maggiore l’offerta di moneta, minore il suo valore.

    Gli investitori lo sanno bene e, invece di temere il crollo, puntano sulla logica opposta: se il dollaro perde potere d’acquisto, i prezzi delle azioni dovranno inevitabilmente salire per adeguarsi. Non perché le aziende diventino più produttive, ma perché saranno costrette ad aumentare i prezzi per compensare l’inflazione.

    È una scommessa rischiosa che, nel breve termine, sostiene le Borse.

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    Una disuguaglianza destinata ad ampliarsi

    Dietro questa dinamica si nasconde un problema sociale enorme. Il 90% degli americani non possiede azioni o ne detiene una quantità marginale. Al contrario, il 10% più ricco controlla la maggior parte del mercato.

    La svalutazione del dollaro farà crescere i listini, ma i salari non riusciranno a tenere il passo. Risultato: la ricchezza si concentrerà ulteriormente nelle mani di pochi, mentre la maggioranza della popolazione vedrà ridursi il proprio potere d’acquisto.

    Opportunità o rischio?

    Buffett resta in attesa, pronto a sfruttare la prossima crisi con enormi riserve di cassa. Molti altri investitori, invece, cavalcano l’onda, convinti che il ciclo di svalutazione continuerà.

    Per i risparmiatori comuni, rimanere fermi equivale a perdere. In un contesto di dollaro debole e inflazione crescente, chi non investe rischia di veder erodere il proprio capitale.

    La scelta, quindi, è binaria: proteggersi puntando su asset reali e produttivi o subire l’impoverimento. Non esistono vie di mezzo.

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    Amministratore e CEO del portale www.doveinvestire.com, Simone Mordenti è anche analista finanziario, trader con oltre 25 anni di esperienza. Classe 1974, si avvicina al mondo del trading, ed in particolare agli investimenti su indici di borsa e azioni, grazie all’affiancamento di esperti del settore. Una forte passione per le scienze statistiche e l’analisi tecnica sui mercati finanziari, da diversi anni si occupa di giornalismo finanziario in diversi portali del settore, in veste di analista tecnico e trading advisor.
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