3 Dicembre, 2025
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    Google a Massimi Storici: Conviene Ancora Comprare il Titolo a Dicembre 2025?

    Google a Massimi Storici: Conviene Ancora Comprare il Titolo a Dicembre 2025?

    Nel corso del 2025 il titolo Google (Alphabet) ha attirato massicci flussi di capitale da parte di investitori istituzionali e retail, grazie a una performance che ha spinto le azioni su nuovi massimi storici, con un raddoppio delle quotazioni rispetto ai minimi di aprile. Questo rally ha alimentato un interrogativo chiave: siamo di fronte a una fase di crescita ancora sostenibile oppure il prezzo riflette già uno scenario estremamente ottimista sul futuro dell’intelligenza artificiale e del business di Alphabet?

    Capire se abbia senso comprare Google oggi significa analizzare non solo la dinamica del prezzo, ma anche la solidità del vantaggio competitivo, la traiettoria dei flussi di cassa, la valutazione rispetto alla propria storia e al mercato, oltre al ruolo strategico che l’AI ricoprirà nei prossimi anni.

    In questo approfondimento analizziamo i principali driver che hanno spinto il titolo verso l’alto, la posizione di Google nella corsa all’intelligenza artificiale, il confronto con rivali come OpenAI e Nvidia e, soprattutto, se il livello attuale rappresenti una opportunità d’ingresso o un punto in cui la prudenza diventa la scelta migliore.

    Perché Google ha raggiunto nuovi massimi: i driver del rally

    Nel 2025 le azioni Google (GOOGL) hanno messo a segno una delle migliori performance tra i grandi titoli tecnologici: il titolo è salito di circa il 66% da inizio anno ed è più che raddoppiato dai minimi toccati ad aprile, superando nomi pesanti come Microsoft, Nvidia e Oracle. Questo movimento non è stato casuale, ma sostenuto da una narrativa sempre più favorevole alla capacità di Alphabet di guidare la nuova ondata di adozione dell’AI.

    Il vero punto di svolta è arrivato con l’evoluzione della famiglia di modelli Gemini, che ha ridisegnato la percezione del mercato sul ruolo di Google nella competizione per l’intelligenza artificiale generativa.

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    Google Gemini: l’arma che sta ridisegnando la battaglia AI

    Il lancio di Gemini 3.0 ha rappresentato un momento chiave: diversi benchmark hanno evidenziato come il modello di Google sia tra i più performanti, al punto da essere descritto come “il migliore al mondo con un margine significativo”. Questo ha cambiato la narrativa che, solo pochi mesi fa, vedeva OpenAI come unico protagonista assoluto del settore.

    Google, a differenza di molte startup AI, parte da una posizione estremamente privilegiata:

    • una base utenti globale che utilizza quotidianamente prodotti come Search, Chrome, YouTube e Android
    • una capacità di investimento alimentata da oltre 100 miliardi di dollari l’anno di utili e flussi di cassa
    • un ecosistema integrato di servizi cloud, pubblicità e prodotti consumer

    Questa combinazione rende il moat di Google nell’AI non solo tecnologico, ma anche distributivo e finanziario. Ogni miglioramento di Gemini può essere incorporato direttamente nei prodotti già usati da miliardi di persone, creando un vantaggio competitivo che i concorrenti faticano a replicare.

    Il crollo di Perplexity e il cambio della narrativa

    All’inizio dell’anno, molti commentatori consideravano Perplexity come un potenziale “Google killer”, soprattutto dopo il lancio di un proprio browser che, nelle intenzioni, avrebbe dovuto sfidare Chrome. Per qualche mese i social sono stati invasi da analisi e previsioni che raccontavano un imminente sorpasso.

    Oggi lo scenario appare radicalmente diverso: i download dell’app sono crollati di oltre 80% dai massimi e la presenza mediatica di Perplexity si è ridotta ai minimi. Il mercato ha iniziato a riconoscere che sottrarre quote a un colosso come Google non è affatto semplice, soprattutto quando quest’ultimo continua a migliorare i propri modelli e integrare l’AI nei suoi servizi principali.

    Questo episodio è un promemoria prezioso per gli investitori: spesso la narrativa “disruptive” viene sopravvalutata nel breve periodo, mentre la resilienza di un vantaggio competitivo consolidato tende a emergere nel medio-lungo termine.

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    OpenAI: crescita esplosiva, ma perdite astronomiche

    Le stime sul futuro di OpenAI sono impressionanti: per il 2030 vengono proiettati ricavi nell’ordine di oltre 200 miliardi di dollari, contro i circa 12 miliardi attesi per il 2025. Si tratterebbe di un aumento quasi venti volte superiore in pochi anni.

    Il problema è che, accanto a questa crescita, le previsioni indicano perdite operative enormi: per il 2030 si parla di oltre 70 miliardi di dollari di risultato negativo. Per sostenere un simile percorso la società avrebbe bisogno di reperire qualcosa come 200 miliardi di dollari di capitale dagli investitori nei prossimi cinque anni.

    In questo contesto la posizione di Google appare molto diversa: l’azienda genera già flussi di cassa massicci e può permettersi di far crescere Gemini anche con margini temporaneamente compressi, mantenendo comunque una redditività complessiva elevata. Se la competizione dovesse irrigidirsi, Google ha le risorse per sostenere una vera e propria “guerra di prezzi” in campo AI, cosa che realtà meno capitalizzate faticherebbero a reggere.

    Per l’investitore questo significa che Google si presenta come una scommessa sull’AI con un profilo di rischio strutturalmente inferiore rispetto a player che bruciano ancora ingenti quantità di capitale.

    Google attacca Nvidia: le TPUs come nuova fonte di ricavi

    Un altro elemento che ha acceso l’attenzione del mercato è stata la scelta di Google di iniziare a vendere le proprie TPUs (Tensor Processing Units) a terze parti. Tra i primi potenziali clienti figura Meta, che secondo indiscrezioni starebbe valutando acquisti per miliardi di dollari entro il 2027.

    Finora il segmento hardware per l’AI è stato dominato da Nvidia, ma l’ingresso di Google con le sue TPUs può aprire una nuova fase competitiva:

    • nuova linea di business per Google, con ricavi potenzialmente ricorrenti
    • possibile erosione delle quote di mercato di Nvidia
    • maggiore integrazione verticale tra modelli AI (Gemini) e infrastruttura hardware

    La risposta pubblica di Nvidia, che ha ribadito la superiorità delle proprie GPU per carichi di lavoro generali, è stata letta da molti come un segnale di tensione: se il vantaggio fosse inattaccabile, non ci sarebbe bisogno di ricordarlo al mercato.

    È presto per dire se le TPUs di Google riusciranno a sottrarre quote significative a Nvidia, ma il solo fatto che un colosso di questa dimensione stia entrando con decisione in questo segmento rafforza la percezione di Google come protagonista centrale dell’ecosistema AI.

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    Berkshire Hathaway entra in Google: quanto conta davvero “l’effetto Buffett”

    Nel terzo trimestre del 2025 Berkshire Hathaway ha comunicato una nuova partecipazione in Google per circa 4,3 miliardi di dollari. La notizia è stata interpretata da molti come una sorta di “benedizione” da parte di Warren Buffett, con inevitabile euforia sui social e nei forum finanziari.

    Occorre però chiarire alcuni punti:

    • il 13F non indica il prezzo preciso di acquisto, ma solo il periodo di riferimento
    • è probabile che le azioni siano state comprate a valori inferiori ai massimi, verosimilmente sotto area 243 dollari
    • non è affatto detto che sia stato Buffett in persona a effettuare l’operazione; spesso sono i suoi collaboratori più giovani a gestire singole posizioni tecnologiche

    Lo stesso Buffett ha dichiarato più volte di considerare i grandi titoli tech fuori dal suo tradizionale “cerchio di competenza”, motivo per cui è ragionevole ipotizzare che a muoversi siano stati altri gestori interni a Berkshire.

    Per l’investitore privato questo significa che la presenza di Berkshire in Alphabet è un segnale sicuramente interessante, ma non va interpretato in modo dogmatico. Conta di più capire se, ai prezzi attuali, il rapporto rischio/rendimento sia ancora favorevole.

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    Valutazione di Google: multipli tirati e tanto ottimismo

    Per valutare un colosso come Alphabet ha senso concentrarsi sul rapporto tra prezzo e flusso di cassa operativo, dato che l’azienda sta investendo pesantemente in CapEx legati al cloud e all’AI.

    Oggi il titolo tratta a un Price/Operating Cash Flow di circa 25,2, il livello più elevato dal 2009. La media storica di lungo periodo si colloca attorno a 17,5. In pratica, Google è più cara rispetto alla propria storia di quanto non sia mai stata negli ultimi 16 anni.

    Se si confrontano le dinamiche recenti si osserva che:

    • i flussi di cassa operativi sono cresciuti di circa il 14% dal minimo del 2025
    • il multiplo P/OCF è aumentato di oltre il 70%
    • il prezzo dell’azione è salito di oltre il 100%

    Questo implica che la maggior parte della performance non deriva da un’esplosione dei fondamentali, ma da una forte espansione dei multipli. Il mercato, in sostanza, sta pagando Google molto più cara rispetto al passato perché si aspetta una crescita strutturalmente più elevata in futuro.

    Analisi DCF: cosa deve succedere per rendere l’investimento interessante

    Se si utilizza un modello semplificato di Discounted Cash Flow (DCF), proiettando i flussi di cassa operativi di Alphabet per i prossimi cinque anni, emergono alcuni punti chiave.

    In uno scenario considerato prudente, si ipotizza che:

    • i flussi di cassa operativi crescano del 15% l’anno
    • il numero di azioni si riduca del 2% l’anno tramite buyback
    • il multiplo torni verso la media storica di 17,5 volte l’OCF

    In questo caso il rendimento annuo atteso per l’azionista si aggira attorno al 9% composto, che è dignitoso ma non straordinario, soprattutto considerando il rischio specifico del singolo titolo rispetto a un indice diversificato.

    Se si passa a uno scenario più ottimista, con:

    • crescita dei flussi di cassa al 17% annuo
    • multiplo finale che resta su valori elevati attorno a 20 volte l’OCF

    il rendimento potenziale salirebbe verso un 13–14% annuo. Tuttavia questo scenario include contemporaneamente multipli superiori alla media e crescita più alta di quella attuale, cioè un quadro già molto positivo che, in larga parte, sembra riflesso nei prezzi odierni.

    In entrambi i casi emerge un concetto chiave: per giustificare i valori attuali il business dovrà raddoppiare i flussi di cassa in pochi anni. Non è impossibile per una realtà come Google, ma rappresenta un obiettivo impegnativo che lascia poco margine di errore.

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    Conviene comprare Google oggi? Rischi e opportunità

    Google resta una delle aziende meglio posizionate al mondo per trarre vantaggio dall’esplosione dell’intelligenza artificiale: controlla infrastrutture cloud, modelli proprietari, prodotti consumer, un ecosistema di servizi con miliardi di utenti e una capacità di investimento che pochi possono eguagliare.

    D’altra parte, l’investitore che entra oggi lo fa a:

    • multipli sui massimi di lungo periodo
    • livelli di prezzo che incorporano già aspettative molto elevate sulla crescita futura
    • un contesto competitivo in cui la volatilità della narrativa AI può amplificare i movimenti del titolo

    Chi ha acquistato Google quando il Price/Operating Cash Flow era attorno a 14 ha colto un’inefficienza evidente: il mercato sottovalutava il potenziale dell’AI e prezzava Alphabet a sconto rispetto alla propria storia. Chi valuta l’ingresso oggi non si trova più davanti a uno sconto, ma a un titolo che riflette un futuro già piuttosto roseo.

    Per l’investitore orientato al valore, il rapporto rischio/rendimento potrebbe risultare poco appetibile a questi livelli. Per chi invece crede che l’AI porterà a una vera e propria esplosione dei margini e dei ricavi, soprattutto con l’espansione delle TPUs e dei servizi cloud, il titolo può ancora avere spazio di crescita, seppur con un margine di sicurezza ridotto.

    Conclusione: opportunità o rischio per il medio-lungo periodo?

    Alla luce dei dati disponibili, Google appare come un colosso ben posizionato per dominare l’AI, con un vantaggio competitivo forte e una struttura finanziaria che gli permette di giocare in attacco sia sul software sia sull’hardware. Tuttavia, l’attuale valutazione richiede risultati eccellenti per generare rendimenti superiori ai principali indici azionari.

    Chi ha un orizzonte temporale ampio e accetta una volatilità elevata potrebbe considerare Google come una componente core di un portafoglio esposto all’AI, magari tramite ingressi graduali e non con un’unica operazione. Chi cerca invece occasioni con multipli compressi e forte margine di sicurezza potrebbe preferire attendere momenti di debolezza del mercato o rotazioni settoriali che riportino il titolo su livelli più allineati alla propria storia.

    In sintesi, Alphabet oggi non è più la “bargain opportunity” di inizio anno, ma resta una società straordinaria. La vera domanda non è se l’azienda continuerà a crescere, bensì se il prezzo attuale lasci sufficiente spazio al rendimento che ogni investitore considera adeguato per il proprio profilo di rischio.

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    Amministratore e CEO del portale www.doveinvestire.com, Simone Mordenti è anche analista finanziario, trader con oltre 25 anni di esperienza. Classe 1974, si avvicina al mondo del trading, ed in particolare agli investimenti su indici di borsa e azioni, grazie all’affiancamento di esperti del settore. Una forte passione per le scienze statistiche e l’analisi tecnica sui mercati finanziari, da diversi anni si occupa di giornalismo finanziario in diversi portali del settore, in veste di analista tecnico e trading advisor.
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