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E’ così si è chiuso anche il mese di Luglio, caratterizzato dal recupero dei mercati azionari americani, da sempre i market movers più importanti tra le borse di tutto il mondo, aiutati e sostenuti da trimestrali positive dei giganti del tech. Ma le ragioni di questo rialzo, per ora correttivo, sono legate anche alla notizia legata alla crescita statunitense, che negli ultimi due trimestri ha fatto registrare due contrazioni consecutive, un -1.6% il Pil del primo trimestre e un -0.9% del secondo, che di fatto avrebbe confermato che gli Usa sono entrati in recessione tecnica (anche se per essere propriamente definita tale, la seconda rilevazione dovrebbe essere peggiore della prima), alimentando speranze di una minor aggressività nel rialzo del costo del denaro da parte della Fed.
Al contempo però, venerdì scorso, i dati sul Pce, ovvero l’indice dei prezzi di spesa per consumi personali, hanno mostrato un aumento dell’1% a giugno, l’incremento più significativo dal 2005. I prezzi dei beni sono aumentati dell’1.5% e quello dei servizi dello 0.6%, mentre i prezzi dei generi alimentari sono cresciuti dell’1% mentre quelli dell’energia, addirittura del 7.5%. Il tasso annuo core è salito del 6.8%, il più alto livello dal 1982. In parte questo ultimo dato va in controtendenza rispetto al calo del Pil perché i prezzi che sono saliti hanno spinto al rialzo anche i consumi, con ricadute anche positive sul Pil stesso. Ma è altrettanto vero che a tendere questo chiaro ulteriore aumento dell’inflazione porterà ad una riduzione della domanda, con possibili logici effetti sul Prodotto interno lordo.
Intanto però la Fed potrebbe ritornare ad essere aggressiva sui tassi, dato che Powell, mercoledì scorso, nella conferenza stampa che aveva fatto seguito al rialzo dei tassi, aveva dichiarato, che il Pce è una misura anche più significativa del dato sull’inflazione, per comprendere il livello e l’andamento dei prezzi. Pertanto dopo il dato di venerdì, difficile aspettarsi, almeno ora, un cambiamento sostanziale della narrativa corrente, ovvero lotta senza quartiere all’inflazione e rialzo persistente del costo del denaro.
Sul fronte valutario il mese dell’EurUsd si è chiuso circa a metà dell’escursione del medesimo periodo, che aveva aperto a 1.0480 (livello poi che ha rappresentato anche il massimo di Luglio), chiudendo a 1.0225 e facendo registrare un minimo a 0.9950. Tutto ciò, a noi sembra significare ancora grandissima incertezza, pur in una price action che evidenzia ancora persistenza di forza di dollaro rispetto alle valute concorrenti. E’ chiaro che il biglietto verde poi abbia corso tanto, e forse meriti anche delle correzioni, ma il delta tasso, per ora, impedisce al biglietto verde di subire un attacco strutturale che porti ad una inversione dei trend a cui abbiamo assistito fino ad ora nel 2022.
Dobbiamo anche ricordare, per la verità, che venerdì i dati sull’economia Europea hanno mostrato una crescita inattesa dello 0.7% nel secondo trimestre, dopo una salita dello 0.5% nel primo, migliore anche di quella Usa e superiore alle previsioni. Si tratta della performance migliore, se consideriamo la rilevazione degli ultimi tre trimestri, spinta dall’allentamento delle restrizioni Covid e, secondo alcuni analisti, dalla stagione turistica. Da questo punto di vista, sembra preoccupare di più la Germania che ha rallentato vistosamente, a giudicare dai dati dell’ultimo mese.
L’inflazione comunque, nell’area Euro è aumentata al massimo storico dell’8.9% a luglio dall’8.6% di giugno. Sono cresciuti i settori alimentare, alcool e tabacco, oltre ai beni industriali e servizi. Anche questo forse, sarebbe un buon motivo per vedere l’Euro più alto, ma la salita risulta complicata proprio per il diverso approccio delle due banche centrali rispetto all’inflazione e alla crescita, atteggiamento che ora non sembra confermato dai dati, e che penalizza oltremodo la moneta unica.
Sulle altre valute segnaliamo una sterlina che cerca faticosamente un recupero, incapace per ora di confermare i livelli chiave posti tra 1.2250 e 1.2300, in ragione anche delle rinnovate incertezze sulla sostituzione di Johnson alla guida del Governo. Più significativo il movimento dello Jpy che ha recuperato quasi 600 pips dai minimi contro dollaro, con UsdJpy che da 139.30 ha chiuso il mese a 133.30 dopo aver mostrato un minimo a 132.45. Attenzione alla configurazione tecnica da shooting star su base mensile, che potrebbe generare accelerazioni importanti, anche se la correlazione con la borsa sembra essersi rotta definitivamente. Infatti lo Jpy è salito con il recupero delle borse, quasi un ossimoro se si pensa alla correlazione che abbiamo in passato sempre osservato, ovvero risk off con equity in calo e Jpy in ripresa, il contrario di quanto vediamo oggi. Ma tant’è, questo è il mercato odierno e attenzione al livello di 131.00 che se violato al ribasso, potrebbe portare ad una importante accelerazione ribassista del biglietto verde.
Sulle altre coppie valutarie relative ai cambi originali, segnaliamo un UsdCad sotto quota 1.2800, che non sembra corrispondere però ai livelli del Wti cash, che invece non riesce più a superare quota 100. Anche in questo caso il legame Cad Petrolio, sembra leggermente diminuire. Infine, uno sguardo al Cot, ovvero alle posizioni degli Istituzionali sul mercato dei futures a Chicago, che spesso fornisce una indicazione di massima di come sono posizionati, anche se con 5 giorni di ritardo e su un campione di solo il 5 6 per cento di tutti i volumi forex, i big players, istituzionali, banche market makers, commerciali, ed hedge funds, ovvero i principali attori sul mercato. Ebbene i grandi investitori restano tendenzialmente short (la rilevazione è a martedì scorso) dollari australiani (per un controvalore di 6 miliardi di Euro), short Euro, per circa 5 miliardi di Euro, short sterline (6.8 miliardi di euro), mentre rimangono long dollar index per circa 5 miliardi e long Cad per 2 miliardi. Numeri abbastanza importanti quando superano i 5 miliardi, perché significa che sul mercato spot lo sono per importi almeno 15 20 volte più grandi.
Vedremo se nelle prossime settimane qualcosa cambierà oppure se per vedere qualche cambiamento, dovremo attendere l’autunno inoltrato.
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Saverio Berlinzani per ActivTrades.
Profilo dell’analista
Saverio Berlinzani
Nel 1989 inizia il suo percorso lavorativo nel mercato valutario come spot trader per il Banco Lariano. Dal ’91 per la Banque San Paolo di Parigi come trader su lira e franco francese. Dal ‘92 presso il Banco Lariano di Milano spot trader su tutte le valute SME. Dal ’95 per Swiss Bank Corporation capo cambista – Lugano, Ginevra, Londra.
In questi anni, oltre alla specializzazione sul mercato dello spot come market maker, ha sviluppato conoscenze del mercato dei derivati come trader di posizionamento per l’Istituto (Opzioni vanilla ed esotiche), nonché conoscenza diretta delle valute legate ai paesi emergenti (carry trades).
Dal ’98 è rientrato in Italia come Libero professionista in qualità di Consulente Finanziario e Patrimoniale – Presidente e socio fondatore di una società broker in forex. Dal 2009 ad oggi, trader indipendente nel mercato valutario fondatore del sito www.saveforex.it, community di traders con cui condivide quotidianamente in tempo reale la sua operatività forex attraverso una chat e un webinar live.
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