I mercati finanziari stanno attraverso un periodo di difficoltà ed incertezza. Una situazione che favorisce i beni rifugio come oro (confermato dalle quotazioni del metallo giallo che continuano a crescere) e l’investimento più amato dagli italiani, gli immobili.
Ora la domanda che è necessario porsi, la casa va ancora considerato un bene rifugio?
Sì, ma con concetti diversi rispetto al passato. Tutti sanno che l’immobiliare è in crisi e lo resterà forse ancora per qualche tempo; se dovesse ricominciare a galoppare l’inflazione, il bene rifugio per eccellenza tornerebbe a essere tale.
Non in maniera generalizzata. In Italia il patrimonio immobiliare è spesso vetusto, poco curato e caratterizzato da costi di gestione elevati. Tutto quanto ha tali caratteristiche va dimenticato.
Le case devono essere di qualità dal punto di vista ambientale, con oneri manutentivi ridotti e soprattutto un rapporto prezzo-prestazioni competitivo. Questo è un concetto nuovo: la parola prestazioni di solito si usa per le auto o per i computer, non per le abitazioni. Ma oggi entra in scena pure per queste ultime.
Significa il possesso di caratteristiche imprescindibili: bassi consumi energetici, soddisfatti da fonti rinnovabili, utilizzo di sistemi di recupero del calore dell’aria in uscita, protezioni termiche, presenza della domotica, riciclabilità dei componenti, diffusione in tutte le stanze di tecnologie informatiche, impianti di sicurezza sofisticati e sistemi di filtraggio dell’acqua. La posizione protetta rispetto alle grandi vie di comunicazione, pur con agevole accessibilità ai trasporti pubblici, è un altro fattore importante.
Il tutto può far pensare a una casa ideale, che nei fatti non esiste. Ma non è così. Chi compra oggi un’abitazione deve pensare al suo valore fra dieci o venti anni. Se parte con un “prodotto” vecchio avrà grandi difficoltà a piazzarlo in futuro. Come si fa a capirlo? Valutando il livello di un eventuale affitto. Se il rendimento annuo è sotto il 3-3,5%, qualcosa non funziona nella scelta dell’immobile. Il dato si riferisce a condizioni normali di mercato. Attualmente la crisi sta infatti portando a prezzi di locazione più bassi.
Investire in un immobile all’estero rappresenta ancora una garanzia?
Solo in pochi casi. Che si identificano nelle grandi capitali europee, nelle città tedesche e nelle località turistiche – di mare e di montagna – francesi. In una fase di instabilità quale l’attuale meglio evitare destinazioni emergenti, come – per esempio – Tunisia e Turchia, per quanto riguarda il Mediterraneo, e Brasile e Panama per l’oltre Oceano.
Occorre porre particolare attenzione agli aspetti fiscali. Spesso chi acquista trascura di valutarne l’impatto. Le imposte sui redditi immobiliari variano da un 15-17% in Germania a quasi un 50% in Svizzera, dove però uno straniero non può proporre in affitto il suo appartamento. Si aggiungono poi le tasse locali, che dipendono – secondo i casi da fattori diversi (valore – tipo di classificazione – numero di stanze o altro). Al tutto si aggiunge l’imposta patrimoniale sugli immobili all’estero, conosciuta come Ivie, introdotta di recente in Italia, che ha posto non pochi problemi di formulazione. È pari allo 0,76% del valore, ma consente una detraibilità delle imposte patrimoniali pagate nel Paese in cui si trova la casa, con vari aggiustamenti che richiedono inevitabilmente l’intervento di uno specialista per una corretta applicazione.
È chiaro come il bene rifugio mattone in terra straniera possa diventare una trappola di costi diretti e indiretti. La scelta va quindi meditata.
Al momento attuale le due opzioni più interessanti in assoluto riguardano la Germania, ovvero Berlino e alcune località di montagna, dove i prezzi di acquisto sono alti, ma meno rispetto all’Italia, e la redditività da affitti è più che soddisfacente.
In entrambi i casi si può anche ottenere un ritorno sul capitale di oltre il 5% netto l’anno, con prospettive di plusvalenze future sul valore patrimoniale.
C’è chi pensa addirittura che un meccanismo finanziario a leva, ottenuto partendo da un certo capitale non trascurabile, investito in un primo immobile, su cui poi si ottiene un mutuo a tassi fissi, decisamente competitivi in quel Paese, da reinvestire in un’altra casa di prezzo inferiore alla prima e così via, potrebbe incrementare un patrimonio – nel caso investito in case tedesche – in maniera cospicua nell’arco di non molti anni.
Ai più una tale ipotesi sembra pura follia! In effetti c’è chi l’ha sperimentato con successo anche in Costa Azzurra in anni lontani. Ma – come si dice – una rondine non fa primavera.
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