
C’è un’attesa palpabile nei mercati finanziari: settembre potrebbe segnare un punto di svolta per la Federal Reserve. Da un lato la pressione dell’inflazione che non rallenta come previsto, dall’altro un mercato del lavoro che inizia a mostrare segnali di stanchezza. Le decisioni che verranno prese avranno un impatto diretto non solo su Wall Street, ma anche sulle strategie di chi investe ogni giorno.
Il vero interrogativo è se la Fed sceglierà di tagliare i tassi di interesse per sostenere l’economia o se preferirà mantenere la linea dura contro l’aumento dei prezzi. Una scelta che potrebbe ridefinire gli equilibri dei mercati nei prossimi mesi.
Settembre Cruciale per la Fed
L’ultimo dato sul Producer Price Index (PPI) è stato superiore alle attese, segnalando che le pressioni inflazionistiche non si sono ancora placate.
Secondo Lauren Sidell Baker, economista di ITR Economics, i fattori che alimentano l’aumento dei prezzi non derivano soltanto dai dazi doganali, ma anche da costi energetici più elevati e da un’accelerazione salariale che continua a farsi sentire.
Se da un lato la Fed monitora con attenzione il Consumer Price Index (CPI) e il PCE core, dall’altro il rischio concreto è che l’inflazione resti più persistente del previsto, complicando la strada verso un allentamento monetario aggressivo.
Il dilemma dei dazi: effetti a lungo termine sui prezzi
Molti analisti sottolineano che i dazi imposti negli ultimi mesi non hanno ancora pienamente impattato sui dati. L’effetto, infatti, potrebbe manifestarsi tra 9 e 18 mesi dopo l’implementazione, portando a un incremento dei prezzi al consumo solo tra fine 2025 e il 2026.
La questione chiave è se questi aumenti resteranno temporanei o se diventeranno strutturali. Nel frattempo, i mercati temono che le imprese, incapaci di assorbire interamente i costi aggiuntivi, inizino a trasferirli ai consumatori, con un ulteriore impulso inflazionistico nei prossimi trimestri.
Il mercato del lavoro americano: equilibrio fragile
Sul fronte occupazionale, i dati segnalano un raffreddamento rispetto ai livelli eccezionalmente forti degli anni passati. La dinamica resta comunque bilanciata: per ogni posto di lavoro disponibile c’è circa un disoccupato, contro i due o tre candidati che storicamente caratterizzavano un mercato più “normale”.
Demografia e immigrazione ridotta stanno limitando l’offerta di lavoratori, mentre le aziende, intimorite dall’incertezza politica ed economica, evitano di espandere significativamente l’occupazione.
In questo scenario, la Fed potrebbe sentirsi meno pressata a intervenire rapidamente, dato che il mercato del lavoro non mostra ancora segnali di contrazione netta.
Fiducia nei dati: la questione metodologica
Un altro elemento che complica la situazione riguarda la qualità delle statistiche ufficiali. Con il Bureau of Labor Statistics alle prese con tagli e revisioni, aumenta la quota di dati stimati piuttosto che raccolti direttamente.
Se i numeri sull’inflazione risultassero sottostimati, il rischio è che la Fed prenda decisioni basandosi su una percezione più rosea rispetto alla realtà.
Reazioni dei mercati: taglio scontato o troppa euforia?
Nonostante il PPI Usa più alto delle attese, i mercati continuano a scommettere su un taglio dei tassi a settembre. Secondo Liz Thomas, capo strategia di SoFi, la probabilità di un taglio da 50 punti base è ormai svanita, mentre resta plausibile un intervento da 25 punti base, a patto che i prossimi dati sul lavoro confermino la debolezza vista a luglio.
La domanda chiave è: i mercati hanno bisogno di un taglio per continuare a salire? L’azionario americano, trainato da utili solidi e dal boom dell’intelligenza artificiale, non sembra dipendere esclusivamente dalle mosse della Fed. Tuttavia, un taglio renderebbe più sostenibili le valutazioni elevate raggiunte da molti titoli tecnologici.
Analisi tecnica: un mercato “tirato”
Sul piano tecnico, l’indice S&P 500 viaggia circa il 9% sopra la media mobile a 200 giorni. Un livello così distante suggerisce un mercato “tirato”, paragonabile a un elastico che rischia di ritrarsi.
Come evidenzia Adam Turnquest di LPL Financial, non si tratta necessariamente dell’inizio di un’inversione, ma piuttosto della possibilità di una fase di consolidamento o di un moderato ritracciamento, che potrebbe offrire un’opportunità di buy the dip per gli investitori pazienti.
La politica entra in gioco: Trump e la nomina del nuovo presidente Fed
Un ulteriore fattore di incertezza riguarda la nomina del prossimo presidente della Fed. Con Trump vicino a scegliere il successore di Jerome Powell, i mercati temono che la politica possa influenzare le decisioni di politica monetaria, mettendo in discussione l’indipendenza dell’istituzione.
Le pressioni politiche potrebbero spingere per tagli più rapidi, ma la credibilità della Fed resta legata alla sua capacità di restare focalizzata sul mandato di stabilità dei prezzi.
Quali strategie per gli investitori?
Per chi guarda al mercato azionario, la chiave è la diversificazione. I titoli tecnologici restano un pilastro per la crescita di lungo termine, ma settori come sanità, energia e finanziari offrono oggi valutazioni più interessanti e minori rischi di concentrazione.
Sul fronte tecnico, la possibilità di una correzione a breve non dovrebbe spaventare: anzi, potrebbe rappresentare una finestra d’ingresso in un bull market che, pur con oscillazioni, mostra basi solide grazie a utili resilienti e alla forza dei comparti ciclici.
Conclusioni: settembre sarà davvero il mese del taglio?
La Fed si trova davanti a un dilemma storico: sostenere un mercato del lavoro che rallenta senza deprimere ulteriormente l’economia, ma allo stesso tempo non abbassare la guardia sull’inflazione ancora sopra il target del 2%.
Molto dipenderà dal report sull’occupazione di agosto, previsto il 5 settembre: se mostrerà ulteriore debolezza, le probabilità di un taglio dei tassi saliranno in modo significativo. In caso contrario, la Fed potrebbe rimandare la mossa, mantenendo i mercati sospesi tra attese e volatilità.
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