
Negli ultimi tre anni, la Federal Reserve ha dovuto affrontare la sfida più difficile dagli anni ’80: riportare sotto controllo l’inflazione USA. Nel 2022, il CPI (Consumer Price Index) aveva raggiunto l’8%, un picco che ha eroso il potere d’acquisto delle famiglie e compresso i margini delle imprese.
Per contrastare questa spirale, i tassi d’interesse sono stati portati dallo 0,25% fino a un intervallo tra 5,25% e 5,5%, il livello più alto degli ultimi vent’anni. Questa stretta ha effettivamente funzionato: nel 2024 il CPI è cresciuto solo del 2,9% e nel 2025 viaggia su un ritmo del 2,7%, molto vicino al target del 2% fissato da Washington.
Questi progressi hanno aperto lo spazio per tre tagli dei tassi tra settembre e dicembre 2024. Da allora la Fed ha mantenuto una posizione di attesa, ma i nuovi dati sul mercato del lavoro hanno riacceso il dibattito.
Il mercato del lavoro lancia segnali di debolezza
Se da un lato l’inflazione è sotto controllo, dall’altro la creazione di posti di lavoro mostra una dinamica meno brillante. Il Bureau of Labor Statistics ha registrato a luglio soltanto 73.000 nuovi occupati, ben al di sotto delle attese di 110.000 unità. Non solo: i dati di maggio e giugno sono stati rivisti al ribasso per un totale di 258.000 posti in meno.
Questa frenata ha allarmato la Federal Reserve, perché la stabilità dell’occupazione è parte integrante del suo mandato. Durante il simposio di Jackson Hole, il presidente Jerome Powell ha riconosciuto che la politica monetaria restrittiva ha raggiunto un punto critico e che la “bilancia dei rischi” potrebbe giustificare un cambio di rotta.
I mercati hanno interpretato queste parole come una conferma di un imminente intervento. Secondo il CME FedWatch Tool, le probabilità di un taglio a settembre sono salite all’86%, con una seconda riduzione attesa a dicembre.
Tassi più bassi: opportunità o rischio per l’S&P 500?
In teoria, una politica di tassi bassi favorisce il mercato azionario. Le aziende possono finanziare i propri progetti di crescita con costi di capitale inferiori, migliorando la redditività. Allo stesso tempo, gli investitori tendono a spostarsi da asset considerati sicuri, come i Treasury, verso le azioni, generando ulteriore liquidità sul mercato.
Eppure, l’esperienza storica mostra un quadro più sfumato. Ogni ciclo di tagli degli ultimi 25 anni è stato accompagnato da una fase di correzione dell’S&P 500. È accaduto con lo scoppio della bolla tecnologica nel 2000, durante la crisi finanziaria del 2008 e nel 2020 con l’arrivo della pandemia.
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Il problema non risiede nei tagli in sé, ma nel contesto in cui vengono attuati: quando l’economia mostra segnali di debolezza, gli investitori preferiscono ridurre l’esposizione al rischio, generando pressioni ribassiste sugli indici.
La Fed è in ritardo rispetto al ciclo economico?
Uno dei rischi più discussi riguarda il tempismo della Federal Reserve. I dati macroeconomici vengono pubblicati con ritardo e questo porta spesso la banca centrale a muoversi quando i segnali più evidenti della congiuntura si sono già manifestati.
Le analisi mostrano che le recessioni seguono spesso periodi di tassi elevati, suggerendo che la Fed tende a rimandare troppo l’allentamento monetario. Con la debolezza del mercato del lavoro, il timore è che il taglio di settembre possa arrivare in una fase in cui la contrazione economica sia già avviata.
Se lo scenario di rallentamento dovesse consolidarsi, i prossimi mesi potrebbero portare pressioni sugli utili aziendali, con inevitabili riflessi sul mercato azionario USA. Questo renderebbe probabile una nuova correzione, anche in presenza di tassi più bassi.
L’investitore tra volatilità e prospettive di lungo termine
Per chi guarda all’S&P 500, la chiave sta nel distinguere tra breve e lungo periodo. Le oscillazioni derivanti da decisioni della Fed possono spaventare, ma la storia dimostra che l’indice tende sempre a recuperare e a crescere sul lungo termine.
In questa prospettiva, un’eventuale correzione indotta da fattori macro può trasformarsi in una finestra di acquisto per chi adotta un approccio disciplinato e orientato al futuro. Più che temere i movimenti di breve periodo, conviene valutare come inserirli in una strategia di portafoglio solida e diversificata.
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