Le tensioni geopolitiche nel Medio Oriente stanno scrivendo un nuovo capitolo ad alta volatilità per i mercati finanziari globali. L’intervento militare degli Stati Uniti in Iran, con il bombardamento di tre siti nucleari, ha risvegliato timori su possibili interruzioni nella catena energetica mondiale e ha spostato l’attenzione degli investitori su asset chiave come petrolio, oro e dollaro.
Geopolitica e mercati: perché l’Iran è al centro dell’attenzione
Nel corso del weekend, gli Stati Uniti hanno colpito duramente l’infrastruttura nucleare iraniana. La risposta politica di Teheran non si è fatta attendere: il parlamento iraniano ha votato per la chiusura dello Stretto di Hormuz, passaggio cruciale attraverso il quale transita circa il 20% della fornitura globale di petrolio.
Anche se al momento si tratta più di una minaccia che di un’azione concreta, i mercati stanno monitorando la situazione da vicino. Una chiusura reale dello Stretto comporterebbe impatti devastanti non solo per i prezzi dell’energia, ma anche per l’equilibrio economico globale. Tuttavia, gli investitori sembrano scommettere che Teheran non arriverà fino a quel punto, poiché la sua stessa economia dipende fortemente dalle esportazioni energetiche.
Petrolio: prezzo in salita, ma con freni
Il prezzo del WTI ha aperto in gap, toccando un +3-4%, salvo poi ridimensionarsi con un rialzo marginale dell’1%. Questo comportamento segnala un’aspettativa moderata di escalation, ma non una vera e propria corsa al rischio.
Il mercato sta prezzando un “premio di rischio” legato alla possibilità – per ora remota – di un blocco dello Stretto di Hormuz. Finché questa minaccia resterà nell’aria, il prezzo del petrolio potrebbe mantenersi elevato, con una volatilità destinata a prolungarsi nei prossimi mesi.
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Scenari: da OPEC agli Stati Uniti
Il vero ago della bilancia sarà l’eventuale intervento dell’OPEC – in particolare dell’Arabia Saudita – nel ribilanciare l’offerta in caso di shock. Parallelamente, si guarda agli Stati Uniti e alla possibilità di ricorrere alle riserve strategiche. Tuttavia, con prezzi ancora lontani dai massimi storici, l’azione potrebbe essere rimandata.

Oro: la sorpresa del metallo rifugio che non decolla
In tempi di guerra e incertezza, l’oro è tradizionalmente considerato un bene rifugio. Ma stavolta qualcosa è cambiato: nonostante l’intervento USA in Iran, il metallo prezioso non ha registrato movimenti significativi.
Le cause sono molteplici:
- Il dollaro forte limita i guadagni dell’oro, poiché la sua quotazione è denominata in USD.
- Il sentiment di mercato resta positivo, con l’ipotesi che il conflitto resti circoscritto a livello regionale.
- Le aspettative sui tassi della Federal Reserve giocano un ruolo cruciale: finché i tagli dei tassi rimarranno incerti, l’oro faticherà a trovare uno slancio.
Livelli tecnici da monitorare
Dal punto di vista tecnico, l’area di 3.450 dollari si conferma una resistenza chiave. Senza una rottura di questo livello, il trend rimane neutro nel breve termine, anche se le prospettive a lungo termine restano solide, sostenute da fattori come la dedollarizzazione, il rischio stagflazione e la fragilità macro globale.
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Dollaro USA: rimbalzo tecnico o ritorno di forza strutturale?
Il dollaro americano ha mostrato segnali di recupero dopo mesi di debolezza. Il Dollar Index (DXY) ha trovato supporto tecnico e ha cominciato a salire, con l’RSI che suggerisce una divergenza rialzista in atto.
Nonostante la narrativa di lungo termine sull’erosione della leadership del dollaro, le decisioni della Fed, più caute sul fronte tagli dei tassi, hanno rafforzato la valuta USA nel breve periodo.
Focus sul cambio USD/JPY
Il cross dollaro/yen è tornato a salire, superando la soglia tecnica di 146 e puntando ora verso quota 148,50. Il rafforzamento del dollaro si accompagna alla persistente debolezza dello yen, penalizzato da una BoJ ancora eccessivamente accomodante nonostante l’inflazione giapponese sia tornata sopra il target.
La Fed tra inflazione e stagflazione: impatto sui mercati
Il messaggio della Federal Reserve della scorsa settimana è stato chiaro: pur lasciando i tassi invariati, ha abbassato le previsioni di crescita al 2026 e sottolineato i rischi legati a un possibile scenario di stagflazione. Il rallentamento economico, unito alla possibile pressione dei prezzi energetici, potrebbe mettere in difficoltà il mandato della Fed.
Questo rallenta la spinta su asset come l’oro e alimenta un nuovo equilibrio tra aspettative di crescita e inflazione, con impatti significativi sui rendimenti obbligazionari e, indirettamente, su titoli azionari e immobiliari.
Cosa osservare nei prossimi giorni
Il dato più rilevante in arrivo è il PCE Core, metrica d’inflazione preferita dalla Fed. Qualsiasi segnale di rialzo potrebbe rafforzare ulteriormente il dollaro e complicare le speranze di tagli ai tassi. Sullo sfondo resta anche la tensione su 90 accordi commerciali in discussione da parte dell’amministrazione Trump, potenziale variabile chiave per il sentiment di Wall Street.
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