“Ogni giorno milioni di investitori, dilettanti e professionisti, provano che non puoi battere il Mercato. Poi c’è Warren Buffett.”
Warren Buffett è la seconda persona più ricca d’America e uno dei più grandi finanzieri del mondo: il suo fondo d’investimento, nato nel 1956 con un capitale di 105.000 dollari, oggi ne gestisce 142 miliardi, ed è uno dei più solidi e profittevoli sul mercato mondiale.
L’autore ricostruisce l’ormai proverbiale “metodo Buffett” analizzando in dettaglio la sua vita privata, la sua formazione professionale, i grandi successi finanziari (Coca-Cola, IBM, Heinz), i “12 paradigmi” alla base della sua filosofia di lavoro, la psicologia dietro ogni decisione finanziaria, il valore della pazienza e la sua predilezione per gli investimenti a lungo termine.
PREMESSA
Una delle domande che mi sento porre più spesso è la seguente:
“Che cosa può spiegare lo straordinario successo di Warren Buffett come investitore?”
È la domanda che cercherò di analizzare in questa introduzione. Verso la fine degli anni Sessanta stavo studiando per il mio Master in Business Administration presso la Chicago University, e fu allora che entrai in contatto con una nuova teoria finanziaria, sviluppata proprio a Chicago negli anni precedenti. Uno degli elementi chiave della filosofia di pensiero della “Scuola di Chicago” era la “teoria del mercato efficiente”: gli sforzi combinati di milioni di investitori razionali, motivati, oggettivi e informati fanno sì che le informazioni si riflettano immediatamente sui prezzi di mercato, in modo che gli investimenti producano un profitto equo e commisurato al rischio, né più né meno. I prezzi perciò non sarebbero mai troppo bassi, o troppo alti, da non permettere di poterne trarre un ricavo, e nessun investitore risulterebbe quindi in grado di identificare sistematicamente occasioni di cui approfittare. È da questa ipotesi che deriva il celebre motto della Scuola di Chicago: “Non puoi battere il mercato”.
La teoria del mercato efficiente costituisce la base filosofica per una conclusione del genere, e non mancano i dati empirici da cui si ricava come, effettivamente, nonostante tutti i loro sforzi, la maggior parte degli investitori non riesca a battere il mercato. Si tratta di un argomento forte a favore dell’impossibilità di una performance superiore alla media.
Questo non significa che nessun investitore batta il mercato. Ogni tanto qualcuno ci riesce, proprio come altrettanti, specularmente, ottengono performance inferiori alla media: l’efficienza del mercato non è una forza invincibile, ed è possibile che i rendimenti di singoli investitori si discostino da quelli di mercato. Quello che si afferma è che nessuno può riuscirvi in misura e regolarità sufficienti a smentire la teoria del mercato efficiente. Come nella maggior parte dei processi, esistono forti deviazioni dalla media, ma vengono spiegate come dovute a fattori casuali, e perciò trascurabili.
Quand’ero ragazzo c’era un modo di dire che più o meno faceva così: “Se in una stanza mettiamo abbastanza scimpanzé dotati di macchina per scrivere, alla fine almeno uno scriverà la Bibbia”. In altre parole, in presenza di eventi casuali, di tanto in tanto può succedere (quasi) qualsiasi cosa. Ma come diceva anche mia madre: “È l’eccezione che conferma la regola”; una regola generale può anche non essere rispettata nel 100% dei casi, ma il semplice fatto che le eccezioni siano così rare ne conferma la sostanziale veridicità. Ogni giorno, milioni di investitori, sia dilettanti sia professionisti, dimostrano che non puoi battere il mercato.
Poi c’è Warren Buffett. Warren e pochi altri leggendari investitori – personaggi come Ben Graham, Peter Lynch, Stan Druckenmiller, George Soros e Julian Robertson – conseguono risultati da record che sfidano la Scuola di Chicago. In altre parole, possono vantare performance superiori alla media con un margine sufficientemente ampio, per periodi di tempo sufficientemente lunghi e per quantità di denaro sufficientemente grandi da mettere sulla difensiva i sostenitori dell’effìcienza del mercato. La Storia dimostra che questi investitori sono in grado di battere il mercato non per caso, ma grazie alla loro abilità.
Specialmente nel caso di Warren, le prove sono difficili da contestare. Sulla parete del suo ufficio c’è un documento, scritto da lui, da cui risulta come la sua prima attività, The Buffett Partnership, cominciò nel 1956 con un capitale di 105 mila dollari. Da allora ha attirato tanti capitali, e prodotto tali guadagni, che oggi la sua holding Berkshire Hathaway possiede investimenti per 143 miliardi e un valore netto stimato in 202 miliardi di dollari. Per anni e anni Warren ha strapazzato tutti gli indici di mercato, diventando il secondo uomo più ricco d’America. Quest’ultimo risultato non è derivato da grandi proprietà immobiliari trasmesse per via dinastica, o da una specifica, inimitabile innovazione tecnologica come per tante persone che compaiono negli elenchi di Forbes, ma da un duro lavoro e da una grande abilità applicati a investimenti di mercato accessibili a tutti.