Attualmente i mercati finanziari prevedono che l’inflazione sia solo transitoria. Esiste tuttavia uno scenario alternativo, quello di inflazione resiliente accompagnata da un aumento generalizzato dei tassi di interesse. La fine della disinflazione costante ci costringerebbe a non tenere più conto delle reazioni scontate degli investitori mostrate negli ultimi decenni e a doverci adattare a un nuovo contesto.
Diverse Banche Centrali, nei paesi esportatori di materie prime e in quelli emergenti, hanno già iniziato ad aumentare i tassi di interesse nelle ultime settimane. La Fed, accesa sostenitrice del concetto di inflazione transitoria, questo mese ha iniziato a ridurre gli acquisti di asset finanziari con, in prospettiva, un aumento dei tassi di riferimento nel corso del prossimo anno. Va constatato che l’aspetto transitorio dell’inflazione statunitense, attualmente superiore al 6%, sta iniziando a essere messo in discussione dai colli di bottiglia in diversi settori di attività (semiconduttori, trasporti, ecc.) e da nuovi atteggiamenti nei confronti del lavoro.
Grazie ai risparmi accumulati negli ultimi diciotto mesi (che equivalgono al 12% del PIL statunitense), all’apprezzamento dei mercati finanziari e degli immobili e all’esigenza di una “migliore qualità di vita”, un certo numero di famiglie statunitensi sta valutando il pensionamento anticipato, la cessazione dell’attività di lavoratore dipendente per uno dei suoi componenti o un’occupazione meno vincolante in termini di orari. Inoltre, dato il numero di offerte di posti di lavoro prossimo ai record storici a condizioni retributive interessanti, i lavoratori dipendenti si trovano in posizione di forza nella trattativa sulle retribuzioni (per la prima volta da decenni).
A questo si aggiungono altri due potenziali fattori di inflazione:
- Il primo è il risultato dalle misure adottate da alcuni Stati, che hanno distribuito potere d’acquisto aggiuntivo alle famiglie, come nel caso degli assegni erogati dall’Amministrazione Trump per fronteggiare la crisi sanitaria anche a persone con una propensione ai consumi già elevata.
- Il secondo fattore è la conseguenza della transizione energetica a ritmo serrato, che potrebbe innescare l’aumento duraturo dei prezzi del gas e del petrolio a causa del calo degli investimenti nel settore delle energie da combustibili fossili, mentre la loro sostituzione con altre fonti energetiche richiederà molti anni.
Il margine di errore che le Banche Centrali possono permettersi è molto limitato. L’aumento troppo rapido dei tassi di riferimento innescherebbe un forte rallentamento dell’economia globale, dato l’elevato indebitamento. All’opposto, in caso di interventi troppo morbidi o troppo lenti da parte delle Banche Centrali, che effettivamente gli investitori non paiono prendere in considerazione, l’inflazione potrebbe mantenersi alta per lungo tempo. Con una crescita globale più debole, un’inflazione resiliente avrebbe maggiori conseguenze negative sui mercati finanziari rispetto agli effetti positivi che avrebbe un rallentamento graduale dell’aumento dei prezzi.
La situazione attuale offre un messaggio abbastanza chiaro in materia di investimenti azionari. Nel caso in cui l’inflazione dovesse tornare a diminuire gradualmente dopo la fine delle carenze attuali, senza un crollo della crescita, i mercati azionari dovrebbero mantenere il loro trend positivo, ancora trainati dai titoli growth ad alta visibilità. Qualora le Banche Centrali non riuscissero a tenere la situazione sotto controllo, innescando un rallentamento economico più forte del previsto, questi stessi titoli growth ad alta visibilità continuerebbero a essere sostenuti dalla loro performance relativa. Sarebbe quindi necessaria una vera e propria recessione affinché a distinguersi fossero i titoli dal profilo più difensivo.
E nel caso di inflazione duratura? Il periodo maggiormente paragonabile a ciò che potrebbe verificarsi sui mercati azionari è il cosiddetto periodo “Nifty Fifty”, compreso tra la metà degli anni ’60 e l’inizio degli anni ’70. Verso il 1965, l’inflazione iniziò a crescere gradualmente, spingendo al rialzo i tassi di interesse senza impedire ai titoli growth di qualità di quel periodo di essere molto ricercati fino a un determinato momento: Digital Equipment, Disney, Eli Lilly, Kodak e General Electric. Questi titoli erano chiamati Nifty Fifty, una cinquantina di aziende “geniali” in grado di adattarsi all’inflazione.
Ancora titoli growth ad alta visibilità… Una categoria che apparentemente presenta un notevole valore relativo, in quanto il business model di queste aziende dà l’impressione di potersi adattare a tutti gli scenari attualmente prevedibili.
A cura di Frédéric Leroux, membro del comitato strategico di investimento, Carmignac
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